Le doppie vite di Pio Esposito e Allegri: uno predestinato e l’altro brocco per giornalisti e social. La realtà è un po’ diversa

Nella narrazione mainstream il giovane Esposito è predestinato, un crack, nella realtà entra all'85esimo. A Max gliene hanno dette di tutte, tanto il campo non mente mai

Mg Chisinau (Moldova) 13/11/2025 - qualificazioni Mondiali 2026 / Moldova-Italia / foto Matteo Gribaudi/Image Sport nella foto: esultanza gol Pio Esposito

Le doppie vite di Allegri e Pio Esposito: predestinato e brocco per giornalisti e social. La realtà è l’esatto o

Se il derby l’avessero giocato i social, le fanpage e certa stampa che impasta opinioni come fossero brioche, oggi parleremmo di un film hollywoodiano.
La sceneggiatura c’era: mancava solo la realtà, quel piccolo fastidio che rovina sempre i finali programmati.
Nel multiverso mediatico l’Inter avrebbe vinto con la solita doppietta del “sempre decisivo” Lautaro Martínez e con un eurogol di Pio Esposito, rigorosamente al 90’+qualcosa, con telecamere che tremano e telecronisti che piangono.
Peccato che il mondo reale abbia un senso dell’umorismo tutto suo:
Lautaro non è stato decisivo nemmeno stavolta — dettaglio prontamente ignorato dal tifo digitale — e Pio Esposito sì, è entrato… all’ 85esimo, in quel momento della partita in cui puoi ancora cambiare tutto solo se sei Messi, Mbappé o un personaggio Marvel.
Per l’algoritmo, però, era già un fenomeno prima di toccare un pallone.
Nella squadra di Chivu è la quarta punta, ma nella fantasia mediatica è un crack in sospensione: non gioca? Meglio, così resta “misterioso”. Gioca cinque minuti? Ancora meglio: “ha cambiato la partita con la personalità”. Qualsiasi cosa faccia, è materiale da narrazione.
Ed è qui che si vede il vero talento del nostro ecosistema mediatico: creare fenomeni in anticipo e farli decadere in ritardo. Pio Esposito entra nel finale come atto di disperazione e basta quel frammento di partita per costruire un romanzo di formazione.

Dai social escono già tributi video in 4K su “I minuti del predestinato”, con musica epica in sottofondo e commenti tipo:
“Se avesse giocato dall’inizio finiva 4-0”.
Magari.
Magari no.
Il campo è meno poetico: registra, non immagina.
E soprattutto smaschera.

Poi arriva la parte veramente comica del copione: Massimiliano Allegri.
Per mesi decretato “bollito”, “preistorico”, “inadatto alla modernità”, praticamente un reperto rinvenuto accanto ai dinosauri. Ed anch’io faccio pubblica ammenda. Secondo la narrativa social avrebbe dovuto presentarsi al derby trascinandosi dietro un carrellino con le enciclopedie del 1998.
E invece eccolo lì: vince un derby all’italiana, quello che per alcuni rappresenta il male assoluto, l’eresia contro il calcio “da streaming”. La realtà gli dà ragione, ma la narrativa si arrende solo quando non può fare altrimenti — e anche allora sbuffa.

Il problema è che oggi la partita si gioca su due campi: quello verde e quello digitale, ed anche al Var dove l’ennesimo rigore mezzo e mezzo fa felice Marotta.
Sono mondi paralleli che non si guardano mai negli occhi.
Il campo non mente: non sa farlo.
Non ha filtri, non ha hype, non ha spin.
Il campo non costruisce fenomeni, li rivela.
E spesso li sgonfia.
Così la partita è finita con la solita verità scomoda:
online si costruiscono storie, sul prato si costruiscono risultati.
E quando i due mondi si incontrano, il secondo fa crollare il primo come un castello di carte montato con troppa fretta.
Il derby dei social continuerà per giorni, settimane, forse anni.
Quello vero è durato 90 minuti.
E ha di nuovo ricordato che la narrativa mediatica può creare tutto.
Tranne la realtà.
E la realtà dice che di ingiocabile, c’è solo Max Allegri.

Correlate