James Senese e quell’intervistina nel film “Passione”. C’è la sua infanzia e quindi la sua vita, la sua musica
Nel bellissimo film di Turturro ricorda la dirimpettaia che lo chiamava Jamesiello ma anche i bambini che alle prime discussioni lo chiamano sempre Nirò

James Senese e quell’intervistina nel film “Passione”. C’è la sua infanzia e quindi la sua vita, la sua musica
Uno dei più bei film, forse il più bello, su Napoli intitolato “Passione” lo girò un regista americano. John Turturro. Un film che aveva i tratti del documentario. Una successione di suoni e di immagini. La scenografia che saltella da piazza del Gesù, una specie di campo di calcio a disposizione dei ragazzini, a piazzetta Nilo. E poi vicoli animati dagli inconfondibili rumori, da voci caratteristiche, da panni che sventolano dai balconi fino ad arrivare alla Piscina Mirabilis. È un film sul passato e sul presente di Napoli. Fondato interamente sulle canzoni. Da Caruso e Sergio Bruni a Raiz e gli Almamegretta. Dalla fantastica tammurriata di Peppe Barra a una eccezionale Caravan petrol di un ineguagliabile Fiorello, a Massimo Ranieri e alla Montecorvino. Poteva mancare James Senese in questo straordinario collage? Ovviamente no. E si esibisce cantando nel suo modo inimitabile Passione.
Ma la cosa più importante – credo io – per farsi un’idea del rapporto indissolubile tra James Senese e Napoli è una intervistina che compare nel film. Un parlato che fa da contorno alla sua musica. Eccolo: “diciamo che solo guardandomi allo specchio io vedo che sono di un’altra razza, no diciamo americano; però poi in realtà è più forte di… è più forte di me, capito… questo abbinamento, questa fusione nasce da un fatto naturale … capito, mio padre che era americano che faceva … dalla Nato americana… lui che portava i dischi a mia madre quando si usava prima …capito… un jukebox …diciamo che mia madre è stata quella che mi ha fatto conoscere il suono americano africano, io ho sentito questo suono e da allora non l’ho lasciato più… capito…”.
Tua madre era napoletana? “Sì mia madre napoletana, mio padre del nord Carolina”.
L’hai mai conosciuto? “No ma guarda io sono stato fortunato…no… sotto un certo aspetto… no… il fatto di diventare qualcosa… sono stato fortunato ma da bambino era… era drammatico vai… forse l’unica cosa positiva era che io vivevo in questo vicolo dove c’era questa amicizia passionale …capito… fra dirimpettai… a me capitò (una dirimpettaia che) Sofia si chiamava… suvvia a me mi chiamava Jamesiello ed era un nome …capito… azzeccato … capito?…c’era molta gente che mi voleva bene però fra di noi fra i ragazzi c’era questo …capite… questo modo di esprimersi negativamente per la… per la parte del colore che era molto evidente no?… appena tu ti bisticciavi la prima parola che si diceva era nero e nirò… eh come fai a dimenticarlo… non lo puoi dimenticare”.
Il rapporto quindi di James Senese con Napoli e i napoletani si sviluppa da ragazzino in un clima misto di tenerezza infinita e terribile crudeltà. Quella crudeltà che soltanto i bambini sanno esercitare. E non c’è bisogno di raffinati sociologi o psicologi per comprendere quanto queste cose segnassero la crescita di un ragazzo. C’è qualcosa di più tenero di un vezzeggiativo come Jamesiello? Che faceva il verso al più comune Peppeniello e che era una forma dolce e delicata di attestare l’integrazione di quel ragazzino, figlio di un soldato americano del nord Carolina e di una napoletana, nella società del rione dove viveva. E c’è qualcosa di più crudele dell’appellativo Nirò teso a ricordare che tu sei un diverso che mai ti potrai integrare completamente nel nostro mondo? Insomma James cresceva nel mondo di un rione popolare con i suoi pregiudizi, le sue violenze ma anche con la sua straordinaria capacità di manifestare solidarietà. Di essere poi in ultima analisi inclusivo. Nirò era il feroce scherno di bambini. Jamesiello l’affettuoso verso di una dirimpettaia adulta. E non a caso Senese dice che Jamesiello e Nirò sono parole che non potrà mai dimenticare e che hanno segnato la sua storia. Ma che sono state anche le basi per costruire quel rapporto profondo e indistruttibile con l’essere figlio della cultura musicale napoletana. Che nella sua voce roca e nelle note del suo sax si concretizzava in una miscela di tenerezza, malinconia e di rabbia. Provate a risentirla Passione così come interpretata nel film di Turturro. Vi troverete esattamente l’eco di questi elementi: Jamesiello e Nirò.










