Italbasket, Capobianco: «La consapevolezza è la qualità che ti fa vincere, non gli schemi»

Il ct al Corsera: «Ci sono giocatrici che hanno più minutaggio in Nazionale che nel proprio club. Dai 17 ai 21 anni giochi quasi senza responsabilità, ma i giovani devono sperimentare».

Capobianco

Andrea Capobianco, head coach of Italian women's basketball team talks to Cecilia Zandalasini during the FIBA EuroBasket women's quarterfinal match betwee Italy v Belgium on June 22, 2017 in Prague, Czech Republic. (Photo by MICHAL CIZEK / AFP)

La Nazionale italiana femminile di basket ha conquistato il bronzo agli Europei, battendo nella finale del 3° e 4° posto la Francia. Il Corriere della Sera ha intervistato il ct Andrea Capobianco.

Capobianco: «Il segreto del bronzo? La consapevolezza, è la qualità che ti fa vincere, non gli schemi»

Un bronzo impensabile…

Capobianco: «Impensabile? Forse per chi ci dava perdenti ogni volta, con Belgio, Francia, Turchia, Lituania, Slovenia… Avremmo dovuto perderle tutte. Invece sono molto contento di aver allenato un gruppo eccezionale».

Il segreto del bronzo?

«Ce ne sono diversi, anche se non sono poi così segreti. La consapevolezza ad esempio. Eravamo consapevoli di ciò che sapevamo fare bene e di ciò che sapevamo fare un po’ meno bene. E su questo abbiamo lavorato. Non è lo schema che ti fa vincere la partita, ma la qualità. E quella si ottiene mettendo insieme gli aspetti tecnici, fisici e mentali».

Ed è sufficiente?

«Bisogna credere nel progetto tecnico-tattico. Il percorso è cominciato il giorno del raduno, il 17 maggio. Alle ragazze ho detto: per fare qualcosa di buono bisogna andare al di sopra della normalità, se saremo solo normali non vinceremo nulla».

Che cosa mancava a queste ragazze per vincere?

Capobianco: «Banalmente, acquisire equilibrio ai livelli più alti. Ci sono giocatrici, e anche giocatori, che hanno più minutaggio in Nazionale che nel proprio club. È un dato che deve fare riflettere».

A livello giovanile le medaglie arrivano. Poi però…

«Poi però ci sono difficoltà tra i 17 e i 21 anni. Come la specializzazione in medicina, solo che qui non provi a fare le cose. C’è una fascia d’età dove giochi con poca o senza responsabilità. I giovani devono sperimentare quello che stanno studiando. E vuol sapere un altro segreto delle mie azzurre? Tutte erano responsabilizzate, tutte coinvolte per giocare al massimo livello, secondo le possibilità di ognuna».

Com’è allenare le donne?

«Non è diverso da allenare degli uomini. In entrambi i casi devo rispettare il mio ruolo, che è quello di allenare. L’etimologia di allenare è dar lena, dare forza. Io devo dare forza ai giocatori, o alle giocatrici, che alleno, farli crescere, migliorarsi. Una ragazza mi ha detto: “tu ci alleni come delle atlete”. Mi è sembrato un complimento bellissimo».

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