Andò: «Con un pugno spezzai un dente a un compagno di classe che mi aveva offeso, ha avuto problemi a vita»
Il CorSera intervista il direttore del Mercadante: «Palermo è più triste di Napoli, prevale il senso di morte. Napoli con la morte ci gioca»

Il Corriere della Sera intervista Roberto Andò. Palermitano, 62 anni, è regista di cinema, teatro e opere liriche, sceneggiatore, scrittore e direttore artistico. Ha cominciato a lavorare nel cinema come assistente di Rosi, Fellini, Cimino e Coppola. Da regista ha esordito a teatro nel 1986, con uno spettacolo tratto da un inedito di Calvino. È anche autore di libri: domenica riceverà il Premio internazionale Martoglio per la sezione Letteratura
e Cinema per il romanzo «Il bambino nascosto», da cui ha tratto il film interpretato da Silvio Orlando.
Tre anni fa, al Teatro Greco di Siracusa, riportò sul palcoscenico Camilleri, ormai diventato cieco. Era un anno prima della sua morte. Racconta:
«Quella sera, dopo i calorosi applausi che meritatamente ricevette per la sua interpretazione, mi disse in disparte: “Mentre recitavo ho visto un gatto che mi fissava”. Era impossibile che nelle vicinanze del palcoscenico ci fosse un gatto… Oltretutto Andrea non era in grado di vedere nemmeno il pubblico che affollava la platea, quindi come avrebbe potuto scorgere una bestiola? E allora ho pensato, fra me e me, che quel gatto era un’immagine di morte: qualcuno gli aveva mandato un messaggio, che purtroppo si è avverato l’anno successivo».
Oggi Andò dirige il Teatro Mercadante e il San Ferdinando, a Napoli. Racconta come si trova un palermitano a
Napoli:
«Palermo è più triste di Napoli, ha una cupezza esasperata, è come se elaborasse continuamente un lutto, prevale il senso di morte. Napoli gioca con la morte, ha la capacità di inventare sé stessa, è un cantiere aperto e il suo centro è proprio il teatro, una forma di vita che mi mette in perenne stato di eccitazione. È una metropoli anarchica e tutti i suoi pregi possono essere anche i suoi difetti. Diceva Pasolini che i napoletani sono una grande tribù che, invece di vivere nel deserto o nella savana, come i Tuareg e i Beja, vive nel ventre di una grande città di mare».
C’è una cosa che si porta dietro dall’infanzia, confessa. Un episodio che considera il suo peggiore insuccesso privato.
«Un mio compagno di scuola una volta mi disse una cosa profondamente offensiva e dolorosa, io lo colpii con un pugno e credo di avergli spezzato un dente che gli ha causato problemi per tutta la vita. È un ricordo indelebile, riguarda un sentimento fortissimo che è insieme di violenza subita e agita».