Il Die Zeit: «Le Paralimpiadi sono Giochi per ricchi che si possono permettere la tecnologia»
Gli atleti dipendono dai materiali. E così alcuni usano mezzi sviluppati dalla NASA, altri si accontentano di modelli di qualità inferiore
In Italia le Paralimpiadi hanno la copertura mediatica dello sport di nicchia, trafiletti, giusto qualche pezzo se un italiano vince un oro. All’estero sono in prima pagina, fissi. Tra i tanti articoli dedicati ai risultati sportivi si segnala un approfondimento del Die Zeit, che segnala un aspetto poco dibattuto della manifestazione olimpica: di fatto sono Giochi per Paesi ricchi, che possono permettersi la tecnologia che serve agli atleti per primeggiare.
L’aspetto inedito della questione però è il divario tra ricchi e poveri. “Oltre alla Cina, che ha già un vantaggio grazie alla sua vasta popolazione di 1,4 miliardi di persone, le dieci nazioni più forti nel medagliere sono esclusivamente società benestanti occidentali. In termini di tenore di vita anche i paesi post-socialisti come Polonia, Ucraina e Uzbekistan se la cavano bene. Ma non si avvicinano ai successi dei paesi più ricchi”.
“Mentre ci sono almeno alcune competizioni come il pugilato o il sollevamento pesi ai Giochi Olimpici, in cui il materiale e le attrezzature giocano un ruolo minore, alle Paralimpiadi gli atleti dipendono dalla tecnologia. Una sedia a rotelle sportiva costa diverse migliaia di euro e anche le protesi sportive sono inaccessibili in molti paesi. Quindi, mentre le nazioni più ricche viaggiano con materiali sviluppati dalla NASAgli atleti dei paesi più poveri spesso ottengono solo modelli di qualità inferiore”.
Lo stesso Zeit però sottolinea che Il Comitato paralimpico internazionale ha capito il problema una settimana prima dei Giochi di Tokyo ha lanciato la campagna WeThe15, che mira ad aiutare i paesi poveri a rafforzare le proprie strutture. Inoltre proprio le Paralimpiadi possono servire come volano comunicativo in molti paesi, dove il livello di istruzione è più basso e le persone con disabilità sono anche le più escluse socialmente.
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Al Messaggero: «Quattro anni fa avevo avvisato mamma che non sarei tornato più a Cuba, perciò non gareggiai alle Olimpiadi». Oggi la sua finale del salto triplo.
Alla Gazzetta: «I primati non sono impossibili, mi do sei anni di tempo per avvicinarli. Un obiettivo realistico sono gli 8,60. Mia mamma l'artefice numero uno del mio oro».
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di Luca Cilento - Forse il sunto del rapporto tra genitori-coach e figli-atleti sta nelle parole di Giorgio Cagnotto: «Da quando ha smesso di gareggiare, me la godo di più»
Al Corsera: «Da piccolo non voleva il pannolino di notte: si alzava e andava in bagno da solo. Oggi vive in un appartamento sotto il nostro. Sale per mangiare e per la lavatrice»