Al CorSera: «Sono terrorizzato dalle bambole. Mi spavento anche quando scrivo. Dietro ogni assassinio, c’è sempre un evento familiare che lo innesca, non necessariamente drammatico»

Il Corriere della Sera intervista lo scrittore pugliese Donato Carrisi. Con i suoi thriller ha venduto tre milioni di copie, eppure si definisce un fifone.
«Sono terrorizzato dalle bambole. Da bambino, i miei le mettevano dove non volevano che mi avvicinassi, prese di corrente, fuochi. In tempi più recenti, da un giorno all’altro, ho avuto paura dell’aereo. Faccio un corso di Alitalia contro la fobia del volo e mi portano in una carlinga col resto della classe. L’hostess mi assegna il posto 3A. Vado e ci trovo seduta una bambola. Ho iniziato a urlare come un pazzo».
La paura di volare, alla fine, è riuscita a vincerla, ma
«Solo grazie a un farmaco consigliato da Carlo Verdone».
Da bambino, racconta, era terribile.
«Per tenermi buono, non bastavano le normali paure dell’uomo nero e del lupo cattivo e i miei dovevano inventare mostri appositi. La nonna mi raccontava la fiaba di una donna che aveva fatto a pezzi il marito e l’aveva messo nel freezer. E che poi si metteva vicino al camino e, dal camino, sentiva uscire una voce che diceva: Maria, Maria, ridammi il braccio mio…».
Ancora sulle bambole:
«Quando mamma era incinta, voleva una femmina. Papà, per buono augurio, le regalò una bambola, che rimase sempre nella mia stanza di bambino».
Nonostante sia un fifone, ama il rischio.
«Sono un fifone, ma m’infilo sempre in avventure improbabili, mi prendo rischi assurdi. Una notte, per provare una scena del “Suggeritore”, sono entrato col telefono scarico in un orfanotrofio abbandonato. Una cosa così è da horror di serie B: solo se la vivi di persona puoi trovare qualcosa mai raccontato».
Il male, per lui, è
«Qualcosa che ti sorprende, appunto. Per documentarmi, ho intervistato tanti che l’hanno incontrato ed erano sempre stupiti, anche se avevano commesso omicidi premeditati».
Ha paura anche quando scrive.
«Io mi spavento anche quando scrivo. Per anni, di notte, ho svegliato un amico, per distrarmi. Ora, sveglio Sara, la mia compagna. La chiamo anche di giorno. Chiedo: quando torni? E lei: hai paura? Mi sgama sempre».
Come tesi di laurea si è occupato di Luigi Chiatti, il mostro di Foligno. Racconta:
«Me la chiese il mio prof. In Italia, occuparsi di serial killer era quasi un tabù, per cui, alla tesi non fu riconosciuta piena dignità: presi 109 e, per scriverla, dovetti pure dare l’esame di medicina legale e assistere a un’autopsia. Sono svenuto, ma il peggio fu rinvenire sul tavolo autoptico accanto al cadavere».
Gli chiedono se per un bambino la famiglia sia un posto sicuro o il più pericoloso. Risponde:
«Dietro ogni assassinio, c’è sempre un evento familiare che lo innesca, non necessariamente drammatico».
Ha due figli. Per evitare che il male si inneschi in famiglia, dice,
«Il passo principale è lasciare la rabbia fuori di casa».