Silvio Orlando: «Ho capito che il teatro era la mia strada quando facevo spettacoli nelle cantine di Napoli»

Al CorSera: «Dopo il successo da Pinocchio a scuola, la maestra mi fece interpretare Marcantonio, ma non sapevo nulla del personaggio: fu un flop totale».

silvio orlando

Silvio Orlando torna protagonista sul palcoscenico con “La vita davanti a sé”, adattamento del celebre romanzo di Romain Gary che l’attore porta in tournée da diversi anni e che da domani farà tappa al Teatro Quirino di Roma. Un successo consolidato, che Orlando firma come interprete, regista e autore dell’adattamento drammaturgico, trasformato in un monologo in cui veste i panni dell’io narrante dando voce a tutti i personaggi.

La sua carriera, da sempre divisa tra teatro, cinema e televisione, prosegue anche sul grande schermo: il suo prossimo progetto è “Dio ride”, il nuovo film di Giovanni Veronesi in uscita l’anno prossimo, in cui Orlando interpreta un cardinale.

Dell’opera, della sua vita artistica e dei nuovi impegni ha parlato in una lunga intervista concessa al Corriere della Sera.

L’intervista a Silvio Orlando

Chi è Momò?

«Un bambino arabo, orfano di madre, che viene cresciuto e amato da un’ebrea, la ex prostituta Madame Rosa, reduce dai campi di concentramento. Una storia che, pur essendo stata scritta molti anni fa, è di forte attualità e dovrebbe far riflettere molto sul l’oggi».

Anche lei, Silvio, ha vissuto, quando aveva 9 anni, il dolore di perdere sua madre Mariolina.

«La sua morte, ovviamente, è stato uno choc in quel momento, ma il sentimento della perdita non ti abbandona mai, è un pensiero che ti lavora dentro per sempre, anche col passare degli anni e adesso, che posso definirmi ormai un anziano, il ricordo di quel dolore riemerge più prepotentemente. Certo, bisogna continuare a vivere, ma quel vuoto non si riempie mai. Forse per tale motivo sono stato travolto da questo testo e continuo, al di là del successo di pubblico, a portarlo in palcoscenico. Al centro della storia emerge il diritto dell’essere umano all’amore materno. Se la mia mamma fosse sopravvissuta, chissà se avrei fatto l’attore».

Però ha iniziato in qualche modo a farlo sin da quando frequentava le elementari…

«Ottenni il mio primo successo impersonando Pinocchio nelle recite scolastiche. La maestra ne fu talmente soddisfatta, che poi volle farmi interpretare addirittura il Marcantonio di Shakespeare. Io non sapevo assolutamente nulla del personaggio e la mia recita fu un flop nella vergogna generale e nella contentezza di quei compagni invidiosi del mio precedente successo: era come la caduta degli dei».

In un certo senso era nato l’attore Silvio?

«In realtà, ho capito che questa era la mia strada qualche tempo dopo, quando a Napoli, tra la metà degli anni ’70 e la metà degli anni ’80, con un gruppo di amici facevamo teatro a modo nostro nelle cantine».

Dal dolore per la perdita della madre è nato un attore comico?

«Non solo comico, posso affermare che in me c’è anche il lato melanconico e, dalla mia insicurezza, si è affermata la mia forza».

La sua carriera si declina, da sempre, fra teatro, cinema, televisione. Il suo prossimo impegno cinematografico è nel nuovo film di Giovanni Veronesi, “Dio ride”, nelle sale l’anno prossimo.

«È una storia ambientata nella Toscana del Seicento dove, a fianco di Pierfrancesco Favino nel ruolo di un monaco molto particolare, io impersono un cardinale altrettanto particolare. Il titolo si ispira a un proverbio ebraico che riguarda l’imprevedibilità dei fatti della vita: “L’uomo pianifica e Dio ride”».

Ed è la seconda volta che lei veste l’abito talare, dopo il cardinale Voiello nelle serie di Paolo Sorrentino: “The Young Pope” e “The New Pope”:

«Effettivamente, prima mi affidavano personaggi aderenti alle mie corde più semplici, invece negli ultimi tempi me ne affidano altri più iconici, carismatici, figure di potere. Mi inorgoglisce questa significativa maturazione artistica che avviene nella terza fase del mio percorso attoriale… Ne sono davvero orgoglioso».

Ma qual è il rapporto con la religione del vero Orlando, “finto” cardinale?

«È di attesa. La fede religiosa è un’esigenza, a prescindere dal fatto se credi oppure no. L’uomo è un eterno bambino, che ha paura del buio e ha bisogno che qualcuno accenda una lucetta per prepararsi all’al di là, vivendo meglio l’al di qua. L’ultima frase del romanzo di Gary e dello spettacolo è: bisogna voler bene»

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