Yamal, il Pallone d’Oro e quest’epoca in cui credersi il migliore è ormai un’ossessione (El Paìs)

"Nel mondo dei social media, dove lo storytelling è il principio su cui si costruisce la nuova realtà, sentirsi il numero 1 è essenziale per diventarlo"

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People shop for the new #10 jersey of Barcelona's Spanish forward Lamine Yamal at the official FCB store in Barcelona on July 17, 2025. Yamal, who just turned 18, signed a new contract until 2031 with the Catalan giants after a spectacular season. (Photo by Manaure QUINTERO / AFP)

Ovviamente, a commento del Pallone d’Oro la stampa spagnola si concentra sullo “sconfitto“: Lamine Yamal. El Paìs lo elogia tirandone fuori un’analisi generazionale. Scrive Daniel Verdù: “Credersi il migliore, il numero 1, non è quasi mai stato un buon affare. Vanità, arroganza e spavalderia sono sempre state associate a un carattere difficile ed egoista. Credersi il migliore, nel mondo che ci siamo lasciati alle spalle, non era giustificato nemmeno quando si era il migliore. La moderazione, la modestia e il duro lavoro discreto facevano parte dei valori protestanti che si diffusero silenziosamente per tutto il XX secolo, ma anche di tutte le favole su cui si costruì l’identità di quel tempo. La cicala, la formica. Ma nel mondo dei social media, dove lo storytelling è il principio su cui si costruisce la nuova realtà, sentirsi il numero 1 è essenziale per diventarlo. O per sembrare tale, che è quasi la stessa cosa”.

“Non c’è simbolo migliore di quest’epoca eccessiva, fugace e kitsch, come dice il filosofo Lipovetsky, del luccichio dell’oro. Ostentazione, Trap, Tik-Tok, Trump e la sua torre dorata. Lamine, lo spettacolo con il numero 10, l’entourage a Parigi per ascoltare la notizia del Pallone d’Oro (che in realtà è fatto di ottone). Appartengono tutti a un’epoca in cui l’ostentazione del trionfo è il mezzo con cui si esprime. Mostrarsi diversi è essenziale per diventarlo”.

La critica del Paìs è simile tutto sommato a quella del Telegraph:  “Il Pallone d’Oro, lo splendore del suo gala sulla Rive Droite parigina e ciò che oggi rappresenta nell’ossessione segreta dei singoli per una partita collettiva, è diventato, dopo 70 anni, il simbolo perfetto di tutta questa coreografia di successo. Ecco perché il Real Madrid, sempre così impegnato a decifrare e guidare il suo tempo, a costruire la propria narrazione storica, non ha ancora superato la rabbia per l’anno scorso”.

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