Benetton: «Alla Ferrari di oggi manca uno Schumacher che prima di correre poteva permettersi un pisolino nei box»
A Repubblica: «Pochi secondi dopo, guidava a memoria a trecento all'ora. Oggi gli chiederei se ha trovato una sua nuova dimensione. Il nostro segreto è stato non accontentarsi».

An Milano 10/09/2012 - Fluid Art Movement / foto Andrea Ninni/Image Sport nella foto: Michael Schumacher
Alessandro Benetton, presidente di Edizione, ha parlato in un’intervista a Repubblica del documentario di Sky sulla scuderia da lui presieduta (in uscita quest’autunno), con alcuni aneddoti legati all’ex pilota di Michael Schumacher e, più in generale, alla Formula 1.
Benetton: «Alla Ferrari manca uno Schumacher, che prima di correre poteva permettersi un pisolino nei box»
Perché ha pensato di raccontarla oggi?
«Trent’anni fa Benetton Formula vinceva il Mondiale costruttori e quello piloti, il secondo con Michael Schumacher. Il docufilm spiega a cosa mi ispiro come uomo e come imprenditore: a quale modello deve guardare la nostra famiglia per continuare a essere un gruppo italiano di livello mondiale».
Come nacque l’idea di acquistare un team di Formula 1?
«Da parte di mio padre Luciano è stato un atto di coraggio dovuto a esigenze imprenditoriali molto pragmatiche. Il nostro marchio è entrato nelle case di tutto il mondo, raggiungendo anche i giovani. All’inizio fu solo pubblicità. Poi c’è stata un’evoluzione emotiva».
Lo rifarebbe?
«In fondo, con il nuovo ciclo imprenditoriale di Edizione, lo stiamo facendo: innovare scoprendo spazi inesplorati».
Perché Benetton Formula ha rappresentato una rivoluzione?
«Venivamo da un settore soft come la moda ed entravamo nel salotto di un settore hard, molto tecnologico. Nessuno avrebbe scommesso su certi risultati. Non ci siamo mai fermati, abbiamo continuato ad azzardare. Il segreto è non accontentarsi di un modello che funziona, esplorare sempre qualcosa di nuovo».
Il momento più bello?
«Il Mondiale piloti del 1994 con Schumi. Ricordo il suo abbraccio a Corinna: aveva 25 anni, ma era già formato, molto maturo».
E il più difficile?
«L’incidente in elicottero che nel ’90 chiuse la carriera di Alessandro Nannini. Correva voce che stesse per approdare in Ferrari. Tutto il Paese sognava un italiano sulla Rossa. Nannini è stato il prototipo del non sportivo. Quando saliva in auto però rivelava un talento enorme: un campione in assenza di presupposti apparenti».
Che ricordo ha di Schumacher?
«Dopo aver preteso molto da se stesso, pretendeva molto dagli altri. È la lezione di un leader. Prima di correre poteva permettersi un pisolino di venti minuti nei box: pochi secondi dopo, a memoria, guidava a trecento all’ora».
Cosa gli direbbe oggi, se non avesse avuto l’incidente sugli sci?
«Vorrei sapere se, dopo essere sceso dall’auto in corsa, ha trovato una sua nuova dimensione. Molti a un certo punto della vita si fermano: penso che lui non abbia smesso di ricominciare».
Nel documentario ci sono testimonianze inedite, da Bernie Ecclestone a Ross Brawn…
«Ecclestone è stato un burattinaio molto intelligente. Ha capito che la Benetton portava la F1 oltre i confini di una gara, trasformandola in uno spettacolo».
Perché scommettere su Flavio Briatore, ex rappresentante Benetton nelle Isole Vergini?
«Aveva il coraggio di infrangere le regole. La sua interpretazione fu determinante: da imprenditore oggi continua a sperimentare».
Cosa manca alla Ferrari per rivincere un Mondiale?
«Schumacher: un’energia contaminante, il catalizzatore di talenti diversi».
Quale campione ha un profilo da Benetton Formula?
«Jannik Sinner. Ha dovuto ripartire in salita, come me. Pochi fronzoli, nella vita conta ciò che si fa».