Conte ha insegnato al Napoli a fronteggiare ogni emergenza
E’ dall’inizio che monta e smonta il Napoli. La presunta sofferenza di Lecce è solo percepita, un solo tiro subito nello specchio nella ripresa

Firenze 04/01/2025 - campionato di calcio serie A / Fiorentina-Napoli / foto Image Sport nella foto: Antonio Conte
Un altro (nuovo) Conte, un altro (nuovo) Napoli
Ormai sono nove mesi che Il Napolista, in questo spazio, racconta i continui – e inattesi – cambiamenti che Conte apporta al suo Napoli. Anche e persino a Lecce, per una partita di fine stagione e dall’enorme valore in chiave-scudetto, il tecnico azzurro non si è fatto pregare. Anzi, ha sfoderato l’ennesimo saggio di elasticità e intelligenza tattica di questa sua annata napoletana. Come vedremo, infatti, il Napoli sceso in campo allo stadio Via del Mare aveva una forma del tutto particolare, super-fluida, letteralmente “inventata” da Conte per poter far fronte alle assenze. Certo, è vero, la squadra azzurra si era presentata con una fisionomia simile ad altre gare giocate in stagione, ma in nessuna di questa c’era Olivera schierato come centrale. E quindi, dati e fatti alla mano, quello che abbiamo visto a Lecce è stato un altro e nuovo Napoli. Un Napoli che non avevamo mai visto prima.
Lo stesso discorso vale anche per lo stesso Conte. Che era arrivato a Napoli con l’etichetta dell’integralista appiccicata addosso, che veniva presentato come un allenatore innamorato – o forse sarebbe meglio dire schiavo – della difesa a tre, dei ruoli statici, di un certo tipo di meccanismi offensivi. Ecco, la stagione 2024/25 ha dimostrato che quel Conte non esiste più. Forse non è mai esistito. In ogni caso, il suo Napoli è arrivato a giocarsi lo scudetto fino all’ultima giornata di campionato grazie all’esatto contrario dell’integralismo: per tutto l’anno, infatti, abbiamo assistito a partite come quella di Lecce, preparate – causa infortuni e assenze varie, ma anche per pura scelta tecnico-tattica – a partire da intuizioni brillanti, da spostamenti e rotazioni difficilmente pronosticabili.
Il 4-4-2 soltanto ipotetico
Torniamo alla gara di Lecce, all’analisi tattica del Napoli visto in campo al Via del Mare: gli azzurri sono scesi in campo con quello che, in teoria, sarebbe dovuto essere un 4-4-2. E quindi con la linea Di Lorenzo-Rrahmani-Olivera-Spinazzola davanti a Meret, con Lobotka e Anguissa nel doble pivote, con Politano a destra e McTominay finto esterno a sinistra, con Raspadori seconda punta accanto a Lukaku.
Nella pratica, però, le cose sono andate molto diversamente. Questa disposizione è rimasta soltanto un’ipotesi, visto che a conti fatti il Napoli ha costruito gioco con un sistema a metà tra 3-4-2-1 e 3-5-2, con Lobotka che si abbassava in mezzo ai difensori centrali; a volte però lo schema di Conte è risultato ancora più variabile, perché sia Raspadori che McTominay hanno assunto posizioni sempre differenti, così come Di Lorenzo si è sovrapposto a Politano in maniera varia, sia all’interno che all’esterno.
Rrahmani-Lobotka-Olivera, Anguissa davanti a loro. E poi una linea di sei giocatori offensivi, con Politano e Spinazzola estremi sui due lati
In questo caso, il Napoli attacca addirittura con un 3-1-6, con Politano e Spinazzola larghissimi sugli esterni, con Anguissa davanti alla difesa a tre, con Di Lorenzo sulla stessa linea degli attaccanti (da destra a sinistra: Lukaku, Raspadori, McTominay). Proprio da questo schieramento scaturirà la rete annullata a Lukaku per fuorigioco.
Ancora Lobotka in mezzo ai centrali, poi due linee
Qui invece il Napoli muove palla da dietro assumendo una chiara fisionomia 3-4-2-1, con Politano e McTominay in supporto a Lukaku, con Di Lorenzo e Spinazzola quinti di centrocampo, con Raspadori in posizione di interno accanto ad Anguissa. Qualche secondo dopo questo frame, al termine di una lunga azione di possesso, la squadra di Conte costruirà una delle migliori occasioni del primo tempo (cross basso di McTominay smanacciato da Falcone prima che potesse arrivare a Lukaku).
La differenza tra principi e moduli
Potremmo andare avanti per una mezz’ora buona, nel senso che potremmo mostrarvi almeno altre quattro o cinque disposizioni offensive adottate dal Napoli nel primo tempo. Ne bastano due, perché in qualche modo raccontano come Conte e la sua squadra abbiano interpretato la partita dal punto di vista delle spaziature, della disposizione in campo in fase offensiva. Perché, naturalmente, le cose sono andate in maniera molto diversa quando la palla era del Lecce: gli azzurri, sempre guardando al primo tempo, hanno contenuto gli avversari alternando il 4-4-2, e il 5-3-2, a seconda della posizione di Politano sulla destra. Sull’altra fascia, invece, l’interscambio di posizione tra McTominay e Raspadori determinava l’accompagnatore di Lukaku nel primo pressing, e a volte anche il passaggio al 4-5-1/5-4-1.
Nel frame in alto, il 5-3-2 difensivo del Napoli. Nel frame centrale, gli azzurri difendono col 4-4-2. Sopra, invece, la posizione più bassa di Politano determina il 5-4-1.
Se in fase d’attacco, quindi, il Napoli ha cercato di muoversi – e quindi di muovere anche la difesa del Lecce – in modo da poter portare più uomini possibili nell’area avversaria, in fase difensiva gli azzurri hanno tenuto un comportamento simile. Non hanno avuto bisogno di portare un grosso pressing, nel primo tempo il Lecce è stato domato soprattutto attraverso il possesso palla (59% in favore degli azzurri), e ogni volta che sono riusciti ad alzare il ritmo e l’intensità delle giocate hanno creato delle buone occasioni. Poi è arrivato il gol di Raspadori, e quindi è come se gli azzurri si fossero “calmati”, di certo hanno smesso di essere furenti.
Tutti gli aspetti approfonditi finora sottolineano ancora, per l’ennesima volta, quanto il discorso sui moduli di gioco, nel calcio contemporaneo, debba essere considerato limitato e limitante. Il Napoli, infatti, ha tenuto fede alla sua identità tattica al di là dello schieramento tenuto in campo. Anzi, è stata proprio questa la forza della squadra di Conte, a Lecce e in tutto il resto della stagione: ha saputo (quasi) sempre trovare il modo di far valere i suoi meccanismi di gioco nonostante i cambiamenti apportati dal tecnio a livello di disposizione in campo.
Come nasce la punizione decisiva
In questo senso, l’esempio più calzante è l’azione da cui nasce la punizione che ha determinato il risultato di Lecce-Napoli. Che, com’è successo spessissimo in questa stagione, è stata fischiata dopo che la squadra azzurra – in particolare Spinazzola – è riuscito a servire Lukaku sui piedi, davanti al suo marcatore. A quel punto il centravanti belga ha letteralmente fermato il pallone con la suola, assecondando l’inserimento di Raspadori nel corridoio accanto a sé. I giocatori del Lecce non hanno potuto fare altro che fermare Raspadori con un fallo, anche perché oltre a lui e a Lukaku c’era anche Anguissa pronto a ricevere il pallone in area di rigore.
Quante volte, nel corso di questa stagione, abbiamo visto il Napoli fare quest’azione qui?
Poi si potrebbe/dovrebbe aprire un capitolo a parte su come è stata battuta la punizione, sulla perfetta intesa tra McTominay e Raspadori appena prima della conclusione, sul fatto che il centrocampista scozzese abbia preso esattamente la posizione che occorreva per coprire la visuale di Falcone e per permettere al suo compagno di battere forte sul secondo palo. Anche questa è tattica, perché è evidente che quel tipo di schema/soluzione sia frutto di un lavoro fatto in allenamento. Non a caso, viene da dire, Raspadori segnò una punizione molto simile anche durante la scorsa stagione, in occasione del 2-2 interno contro il Milan.
Un Napoli efficace
Come già anticipato, tutti questi accorgimenti tattici hanno determinato un primo tempo in cui il Napoli ha spinto, ha spinto e ha spinto fino a trovare il vantaggio. Nel frattempo, non ha praticamente concesso e/o subito nulla: fino al gol di Raspadori, la squadra di Conte ha tenuto palla per il 72% del tempo di gioco e l’unica conclusione tentata dal Lecce è stata quella di Krstovic – un tiro di prima dal limite dell’area finito abbondantemente fuori. Anche dopo il vantaggio, in realtà, la squadra di Conte ha offerto una prestazione efficace, anche se non più scintillante: dal minuto 25 all’intervallo, il Lecce ha tenuto palla per più tempo (53%) rispetto agli azzurri, eppure ha costruito una sola conclusione verso la porta, il colpo di testa di Gaspar finito sulla traversa. Inutile aggiungere che quella chance si è determinata sugli sviluppi di un calcio d’angolo.
Insomma, il Napoli ha funzionato come voleva/doveva: ha creato i presupposti per il vantaggio, è andato effettivamente in vantaggio e poi si è messo a gestire la partita. Arretrando, consegnando anche il possesso palla al Lecce, va bene. Ma senza avvertire una reale pressione/sofferenza. A questo punto della stagione, con questa condizione fisica e di classifica, è un atteggiamento comprensibile, tutt’altro che da disprezzare. E lo stesso discorso, come vedremo, varrà pure per la seconda metà di gara.
Un solo tiro in porta, nonostante tutto
La ripresa si è aperta con due situazioni/segnali tutt’altro che positivi, per il Napoli: al minuto 51′, un tiro dal limite di Halgason è stato deviato da Lobotka e stava per beffare Meret, bravo a rispondere con un colpo di reni al cambio di traiettoria del pallone. Pochi istanti dopo, il centrocampista slovacco ha accusato un problema muscolare – dopo aver preso anche una brutta botta alla caviglia nel primo tempo – e ha preferito lasciare il campo. Conte è stato costretto a cambiare, e ha inserito Gilmour al posto di uno dei giocatori più importanti della sua squadra. Eppure, nonostante questi presagi, il tiro di Helgason non ha avuto seguito. Nel senso che il Lecce, per tutta la ripresa, non ha più concluso nello specchio della porta di Meret.
È un dato molto significativo, che dice tanto – forse dice tutto – sulla vera forza del Napoli in queste ultime partite: la grande solidità nonostante i problemi, nonostante un contesto spesso avverso. Non a caso, viene da dire, Conte e i suoi uomini sono arrivati alla quarta vittoria consecutiva. Tutte senza subire gol.
Com’è cambiato il baricentro di Lecce e Napoli tra il primo e il secondo tempo
Certo, si vede anche da questa grafica: nella ripresa il Napoli ha perso metri, è retrocesso sul terreno di gioco. Ha lasciato campo al Lecce. Eppure tutti gli altri indicatori dicono che la sofferenza degli azzurri è stata solo percepita: il possesso di tutta la ripresa dice 53% Napoli e 47% Lecce. Allo stesso modo, la squadra di Giampaolo ha tentato più volte la conclusione (6-3) rispetto agli azzurri, ma l’ha fatto sempre da fuori. L’unica volta che un giocatore giallorosso – Tete Morente, per la precisione – ha tirato dentro i 16 metri si è visto respingere la palla da un difensore avversario.
In questo contesto, le prestazioni – anche statistiche – dei difensori di Conte sono necessariamente da elogiare: Rrahmani ha chiuso la gara con 9 eventi difensivi, tra cui 3 contrasti vinti. Spinazzola e Olivera si sono “fermati” a 8, ma l’ex terzino della Roma è anche il giocatore che ha intercettato più passaggi (4) tra tutti quelli scesi in campo al Via del Mare. Anche McTominay e Politano hanno dato un grande contributo in fase passiva: entrambi, infatti, hanno messo insieme 4 eventi difensivi.
Conclusioni
Questi ultimi dati sono davvero significativi. Sono una testimonianza del fatto che tutti i giocatori del Napoli hanno dato il massimo, anche a Lecce. Ed è così che sono venuti fuori da una partita appiccicosa, anche viziata dalla tensione – per la classifica di entrambe le squadre e per tutto quello che è successo al club giallorosso nelle ultime settimane. In una situazione del genere, il fatto che Conte e i suoi uomini siano riusciti a vincere, e a farlo in maniera sostanzialmente tranquilla, praticamente senza soffrire, è un messaggio fortissimo.
A pensarci bene, la partita di Lecce ha detto molto anche per quanto riguarda gli aspetti offensivi del gioco del Napoli. Che, di fatto, si è ritrovato a doversi reinventare per l’ennesima volta. E si è reinventato bene, perché per tutta la prima metà del primo tempo gli azzurri hanno dato la sensazione di aver trovato la chiave giusta per forzare la difesa avversaria. La punizione vincente di Raspadori, come detto, ha spento gli ardori offensivi degli azzurri, ma questo non deve far dimenticare la costante presenza di almeno tre o anche quattro giocatori nell’area avversaria, il gol in leggerissimo fuorigioco arrivato dopo pochi secondi dal calcio d’inizio, il Lecce schiacciato nella sua metà campo e impossibilitato a ripartire.
Il fatto che Conte, a inizio maggio, sia riuscito a dare alla squadra dei nuovi strumenti per giocare in questo modo deve essere considerato per quello che è: una cosa straordinaria. E non è un caso, non può esserlo, che l’allenatore del Napoli rivendichi il suo «lavoro in emergenza» in ogni conferenza stampa. La sua è una sacrosanta presa d’atto rispetto alla realtà oggettiva, quella per cui il Napoli è un’ottima squadra guidata da un grandissimo allenatore. Ed è questo mix che l’ha portata a sette punti dallo scudetto.
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