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Attenti a definirla stagione sfortunata, in crisi è il modello imprenditoriale del Napoli

Il Napoli non si discosterà dalle politiche precedenti. “Il Napoli è mio”, questo il concetto espresso che non cederà il passo ad altre visioni

Attenti a definirla stagione sfortunata, in crisi è il modello imprenditoriale del Napoli
Owner of SSC Napoli football club, Aurelio De Laurentiis arrives to attend the "Eco-Educational Cities" conference organised by Scholas Ocurrentes and aimed at promoting education and sustainability, in the presence of the Pope, on May 25, 2023 at the Augustinian Patristic Pontifical Institute in Rome. (Photo by Andreas SOLARO / AFP)

Attenti a definirla stagione sfortunata, in crisi è il modello imprenditoriale del Napoli

Non è una stagione sfortunata questa. Non sarà sfortuna nemmeno il disastro che potrebbe esserci la prossima stagione. Non si vuole essere uccelli del malaugurio e nemmeno A16 militanti. Si è solo sfortunati testimoni di un tempo in cui per ogni dibattito, scambio di opinioni od affermazioni sono disponibili solo casacche da tifoso. Ed ogni parere è considerato in base alla contropartita ottenuta ovvero persa.

I nodi del modello imprenditoriale del gruppo De Laurentiis, dopo anni successi sportivi ed economici, stanno venendo fuori nella stagione meno brillante. E se è successo in maniera cosi rovinosa sia al Napoli che al Bari significa che il caso non è il protagonista del disastro.

Ma evidentemente il modello del gruppo De Laurentiis avrebbe bisogno di altra visione e di ben altro respiro.

Dopo aver toccato il punto di massimo equilibrio, tra risultati attesi e ottenuti, con la stagione passata, il modello speculativo attuato, perché di modello speculativo si tratta, dimostra che in mancanza di risultati sportivi, che consentono di muovere la restante parte del sistema autarchico imposto, non c’è davvero nulla da salvare. Non la valorizzazione di un calciatore. Non un’idea di calcio. Non l’accrescimento di brand od altri ammennicoli che siano in grado di rendere le squadre accattivanti. Quel poco di valorizzazione ottenuta marginalmente, girando giocatori in prestito è a crescita zero, essendo avvenuta depauperando il tessuto tecnico della squadra meno solida del gruppo.

Insomma un disastro.

Il Napoli di De Laurentiis e il patto della pasta e fagioli

A differenza delle grandissime del nostro campionato, che pure hanno vissuto momenti negativi, nel Napoli e nel Bari l’annata negativa conduce a scenari ben più apocalittici. Per i baresi la serie C incombe. A salvare le due società dal disastro c’è solo, ed esclusivamente, la solidità economica, asset importante, ma non l’unico per poter ancora competere ad alti livelli, dopo un’annata del genere.

Sebbene nel Napoli sembra si sia tornati a programmare, dopo un anno sabbatico, non sembrano esserci orizzonti di speranza, per il semplice motivo che i presupposti alla programmazione non potranno prescindere dalle indicazioni che hanno portato al disastro. Basta riascoltare l’irrituale conferenza stampa di gennaio scorso, che potremmo ribattezzare “il patto della pasta e fagioli”, certamente meno nobile ed importante del famoso “patto della crostata” termine coniato da Francesco Cossiga e sancito a casa di Gianni Letta, per poter essere certi che cambierà tutto nel Napoli, affinché il gattopardo del Napoli continui il suo regno.

Se nel patto della crostata si rimisero insieme i pezzi per salvare la Bicamerale del 1997, nel “patto della pasta e fagioli”, offerta umanamente al carrozzone che segue il Napoli, non ci sono state trattative o inciuci. Invero c’è un kit da utilizzare nella prossima estate napoletana: il Napoli non si discosterà dalle politiche precedenti. “Il Napoli è mio”, questo il concetto espresso che non lascia spazio ad interpretazioni o fraintendimenti.

Insomma sta andando come quando da ragazzini il proprietario del pallone doveva tornare a casa, e la festa finiva.

Poi si aspettava fino al prossimo proprietario (di pallone).

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