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Il ritorno di Sarri è l’ideale per Napoli città immobile e De Laurentiis ormai piagnone come la piazza

Dal Corrmezz. Sarebbe la trasposizione calcistica di Amici miei atto terzo (film orrendo) prodotto da Adl. Tanto è finita la diversità di Aurelio rispetto alla città

Il ritorno di Sarri è l’ideale per Napoli città immobile e De Laurentiis ormai piagnone come la piazza

Il ritorno di Sarri è l’ideale per Napoli città immobile e De Laurentiis riscopertosi piagnone

(tratto dal Corriere del Mezzogiorno)

L’ipotetico ritorno di Sarri riporta alla memoria uno dei film involontariamente più tristi del cinema italiano: “Amici miei atto terzo”. Gli autori delle zingarate sono invecchiati e stavolta tocca a loro prendere gli schiaffi dai passeggeri dei treni. Il produttore era Aurelio De Laurentiis che si lasciò sfuggire il primo episodio della geniale pellicola di Monicelli, il più bello. Arrivò dopo. Provò a recuperare tuffandosi sui sequel: un debole della casa. Il secondo andò bene, il terzo fu un disastro. E lì si fermò. Come con i cinepanettoni, il presidente del Napoli ha l’abitudine di ripetere un successo fino alla noia, finché gli spettatori non disertano le sale.

Nel calcio fa lo stesso. La formula che lui considera di successo è il sarrismo. Il signor Maurizio è il Christian De Sica del pallone. Il cuore del presidente lì è rimasto: al rude toscanaccio, all’ambasciatore del vintage. A quasi dieci anni fa (Sarri arrivò nel 2015). Come se il tempo si potesse cristallizzare. Eppure quando era a Napoli, quasi lo detestava. In realtà era profondamente invidioso della sua popolarità. Quello perso in albergo sarebbe stato lo scudetto del Comandante e basta. Poi, però, ha continuato a inseguirlo per anni. In nome del sarrismo portò a Napoli Gattuso, sacrificando Ancelotti (che è un po’ come rompere con Marlon Brando e scritturare Bombolo). Lo ha ricercato in Spalletti. È arrivato a chiamare in panchina Calzona il suo ex vice. Più amore di così.

Oggi De Laurentiis è in linea con la sindrome di accerchiamento dei napoletani

È sorprendente quanto oggi il presidente del Napoli sia in linea con i pensieri della tifoseria che rappresenta. Con gli umori della città. Come se si fosse definitivamente esaurita quella carica innovativa e antropologicamente eversiva che avevano caratterizzato la sua presidenza fino allo scudetto. Sta coltivando anche la piagnoneria della piazza, tra assurdi ricorsi anti-Juve, liti con le tv da sempre considerate ostili (tutti ce l’hanno con Napoli, è il primo comandamento della napoletaneria) e le immancabili scomuniche arbitrali.

Sarri a Napoli dieci anni dopo sarebbe in linea con il nostro Dna. Con il pantano Bagnoli con cui conviviamo dal Novecento. L’altra faccia del perenne dibattito sulla colmata. In Germania in trent’anni – da tanto va avanti questo dibattito – di Bagnoli ne avrebbero costruite tre. Noi invece abbiamo l’immobilismo come ragione di vita. Sarebbe un ritorno gradito al resto del Paese, a chi ha della nostra città un’idea esclusivamente fumettistica. La tipica storia napoletana, in linea con la deriva oleografica che è diventata la vera attrazione turistica. Napoli è un parco divertimenti dei luoghi comuni. E il ritorno del Comandante sarebbe una giostra in più. Per noi, triste.

Il Sarri bis in linea con la città stagnante

Il Sarri bis sarebbe perfettamente in linea con la città stagnante che da sempre preferisce guardare all’indietro. Qui si è parlato di Maradona per trent’anni. Convinti che mai sarebbe stato vinto un altro campionato. E l’aspetto più triste, oltre che paradossale, è che la lezione dell’ultimo scudetto è stata rapidamente dimenticata. Il Napoli ha vinto proprio perché ha rovesciato il tavolo. Perché ha finalmente mandato a casa calciatori che qui erano osannati ma che in realtà erano spremuti e soprattutto sopravvalutati. Ha vinto quando ha preso le distanze dalla retorica cittadina. Non a caso quella squadra nacque in un pesante clima di contestazione. Mentre oggi, con il Napoli che balla sull’orlo del disastro, al massimo si borbotta. Ha vinto con un allenatore alfiere dello stoicismo, ambasciatore dello stakanovismo. E sempre attento alle innovazioni, alle trasformazioni del calcio. Spalletti vive immerso nella contemporaneità. Non guarda mai indietro. Tant’è vero che dopo il successo ha fatto di tutto per andare via. Perché non sopportava De Laurentiis ma forse anche perché aveva subodorato il tanfo della stagnazione.

La fase dei ritorni, inaugurata con Mazzarri, è tipica della senilità. Di chi sente di non poter più competere a certi livelli. La nostra speranza, ovviamente, è che non avvenga. Che De Laurentiis torni a incarnare un vessillo di diversità. Un esempio di efficienza e contemporaneità. Sembrava ieri che potevamo additarlo a mo’ di esempio per gli amministratori della città. E invece oggi ci ritroviamo con la metropolitana che passa ogni sette minuti (il che equivale a una qualificazione Champions, se poi arrivasse persino a Capodichino…) e lui che viene sbertucciato su autorevoli giornali stranieri come The Athletic. Almeno ci risparmiasse il conte Mascetti in carrozzina.

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