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Sinner si sottrae alla sagra paesana del made in Italy, lui di Sanremo se ne frega

Qui comanda Amadeus, altro che Mattarella. Non riusciamo ad accettare la sovranazionalità del campione

Sinner si sottrae alla sagra paesana del made in Italy, lui di Sanremo se ne frega
Italy's Jannik Sinner celebrates his victory against Russia's Daniil Medvedev during their men's singles final match on day 15 of the Australian Open tennis tournament in Melbourne on January 28, 2024. (Photo by Paul Crock / AFP) / -- IMAGE RESTRICTED TO EDITORIAL USE - STRICTLY NO COMMERCIAL USE --

Era ancora disteso sul mateco di Melbourne, fumante. Lollobrigida, il ministro, guardava in tv Sinner, e non vedeva il campione degli Australian Open, ma un pezzo di carne rossa. Una bistecca italiana come la chianina, per nulla sintetica, da rivendersi al sangue il prima possibile al banco del Made in Italy. “L’Italia che ci piace”, avrebbe tradotto in claim la presidente Meloni. Sinner aveva appena stretto la mano di Medvedev, alzato il trofeo, ringraziato lo scibile umano e infine i benedetti genitori da Nobel che in infanzia se l’erano cagato il giusto, che Sanremo era già andato a prenderselo.

Sinner a Sanremo è diventata una priorità

Non aveva ancora chiamato mamma, ma il giornalismo italiano era passato oltre: bello lo Slam, sì la storia bla bla bla… ma che fai, ci vai a Sanremo? Le priorità, perdinci. Ora: voi dovete immaginarvi i giornalisti stranieri con quell’espressione un po’ così che hanno loro quando gli spieghi che Genova – per noi – è solo provincia di Sanremo. Per cui, a domanda tagliente, Sinner rispondeva con la verve di uno che non ha studiato perché c’aveva una finale Slam: “Conoscendomi, non ci andrei. Ballare e cantare non fanno per me”.

In Rai, l’azienda che non poteva permettersi di spedire un inviato al seguito dell’impresa perché hanno abolito da un po’ la terza classe sui piroscafi transoceanici, era già scattata la guerriglia. Il pomeriggio stesso (immaginiamo via pec) Amadeus aveva formulato l’invito ufficiale. Diplomazie al lavoro.

Sinner ha questa ambizione stralunata di sentirsi, prima che italiano o altoatesino, un giocatore di tennis internazionale. Ma non ha ancora sviluppato la prontezza di riflessi per maneggiare lo showbiz che ne consegue. Per cui s’è ritratto, ha opposto un cortese “ma io gioco a tennis, devo allenarmi”. S’era cancellato dall’Atp di Marsiglia, grossolano sfondone strategico, e quando ha capito in che guaio s’era cacciato ha chiesto una wild card per rientrare in tabellone: faccio anche le qualificazioni, basta che mi portate via da qui.

Il tour istituzionale

E invece no. Gli tocca il tour istituzionale, con Binaghi bodyguard. Prima Meloni, oggi la stampa, domani il Quirinale. Una via crucis. Con quel benedetto Festival lì in agguato. Amadeus, altro che Mattarella. In questo Paese dirige Beppe Vessicchio, lo straniero Cahill facesse lui un passo indietro. Interviene il presidente della Federtennis, a gamba tesa: “Non deve andare, dobbiamo proteggerlo anche a petto nudo”. Eroe. Replica Amadeus in videomessaggio, conciliante: vabbè, pure se non vieni non ti dico niente. Ti vogliamo bene lo stesso. “Non immaginavo tutto questo rumore”, recita sogghignando con fine ironia.

È tutta un’allucinazione felliniana, l’ennesima di questo Paese dai colori saturi fino all’isteria. Di nuovo: pensa i giornalisti stranieri, le matte risate. Il tennis, lo sport, l’avrete capito, non c’entrava più nulla già da domenica pomeriggio.

Perché Amadeus che ospita Sinner come Berrettini è un genere malinteso d’evento. È Fabio Fazio che ospita Gorbaciov. Paolo Bonolis che ospita Mike Tyson. Carlo Conti che ospita una famiglia di Catanzaro con sedici figli. Pippo Baudo che ospita gli operai dell’Italsider. Pippo Baudo che salva il suicida. Jovanotti che chiede a D’Alema di cancellare il debito dei paesi africani assieme a Bono, ed è Bono che poi scende in platea e viene intercettato da Mario Merola.

Sanremo porta sfiga

Sanremo, nella visione simil-paternalistica di Binaghi, è Guantanamo. E  porta pure sfiga. Invece è una macchina di nequizia nazional-popolare, di levità. Un guilty pleasure regionale di cui Sinner, e il resto del mondo cui lui sente di appartenere, se ne fotte. Il tracollo successivo – a nemmeno due giorni da quel match point! Manco l’acido lattico ha smaltito… – è frutto di una nostra perversione: l’incapacità di accettare la sovranazionalità del campione. Che deve essere “nostro” per ius sanguinis, in modo da poter sfoggiare il tricolore come i panni stesi nei vicoli dei luoghi comuni.

Non è il “no” di Sinner che ci disturba, è il “chi se ne fotte di Sanremo”. L’inconfessabile bestemmia che il parroco di Sesto Pusteria monderebbe con dieci avemmaria e tre gloriapadre. Peggio della residenza a Montecarlo, ché all’italiano evasore, si sa, toccagli tutto ma non la fedeltà fiscale.

Resta, a riassumere questo ridicolo stallo identitario in cui ci siamo imbucati, l’imbarazzo eventuale della Gazzetta dello Sport: l’aveva definito “caso nazionale” per aver saltato un turno di Davis. Ora che non va a Sanremo, come la mettiamo? Ritiro del passaporto e deportazione a Madonna di Campiglio?

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