Jean Alesi: «Mai avuto paura mentre guidavo, ma vedere la bandiera rossa mi terrorizzava» 

A L'Equipe: «A Jerez arrivai subito dopo l'incidente di Martin Donnelly nelle prove libere, cose del genere sono uno shock».

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Db Milano 04/09/2019 - 90 Anni di Emozioni / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Jean Alesi

Su L’Equipe una lunga intervista a Jean Alesi. Il vincitore del Gran Premio del Canada del 1995 con la Ferrari ripercorre la sua carriera, ricorda Ayrton Senna e racconta diversi aneddoti sul suo passato.

Ad Alesi viene chiesto chi sia il miglior pilota che abbia mai affrontato.

«Direi Ayrton Senna, perché si assumeva molti più rischi di tutti gli altri. All’epoca, c’era un modo particolare di guidare perché le nostre auto erano molto difficili da domare. Perciò l’ho messo davanti ad Alain Prost, perché Alain non ha messo in avanti questo rischio. A proposito, è l’unico che ha battuto Senna!».

Chi è stato il tuo miglior compagno di squadra? Alesi:

«Gerhard Berger. In pista abbiamo avuto grandi battaglie, ma è un ragazzo diretto, onesto e un grande combattente. Per me, queste sono le caratteristiche del pilota ideale».

Il momento più bello è il Gran Premio del Canada?

«Mi considero un privilegiato perché ho vissuto molti momenti eccezionali. La mia firma in F1, quasi per caso, con un quarto posto nella mia prima gara… Avevo firmato per un solo Gran Premio e ne ho fatti altri 200. Il mio contatto con Ferrari a Fiorano. E poi ogni volta che guidavo una Ferrari in Italia, a Monaco, erano sempre momenti di follia, shock emotivi. Ma di sicuro, anche se avrei potuto avere di più, la mia vittoria in Canada rimane un momento indimenticabile».  

Quella singola vittoria cambia il modo in cui guardi alla tua carriera? Alesi:

«Sì, perché ho fatto 32 podi e 250 giri in pole e mi avrebbe infastidito non avere almeno una vittoria. Ma la cosa sorprendente è che alcune persone che mi incontrano oggi mi chiedono in che anno sono stato campione del mondo (scoppia a ridere). La mia presenza in pista ha fatto impressione sulle persone più della vittoria, e ne sono molto orgoglioso».

Il momento in cui hai avuto più paura al volante? Alesi:

«Non ho mai avuto paura mentre guidavo. La paura veniva ogni volta che vedevo una bandiera rossa perché sapevamo che era successo qualcosa di grave se la tiravano fuori. Nel 1990, nella mia prima stagione completa, arrivai subito dopo l’incidente di Martin Donnelly nelle prove libere di Jerez. Era il mio compagno di squadra in F 3000. Era a terra rannicchiato proprio sul sedile. Quando vedi cose del genere, è uno shock. Dopo di allora, ogni volta che c’era una bandiera rossa, ero spaventato».

Hai mai provato vergogna mentre correvi? Alesi.

«Oh, sì… Ma è un momento che ho condiviso con Alain Prost. E’ stato il mio primo Gran Premio alla Ferrari in Italia, a Imola nel 1991. Poco prima della gara, ci fu un enorme temporale. Durante il giro di allenamento, Alain con l’altra Ferrari fa un testa a coda, si schianta e non riesce nemmeno a entrare in griglia. La pista è fradicia e il sole esce poco prima della partenza. Così la nuvola d’acqua sollevata dalle macchine è diventata tutta bianca. Nella mia posizione, quinto alla partenza, ero completamente bianco! All’inizio del terzo giro, arrivo a Tosa dove cerco di sorpassare, ma freno un po’ troppo tardi, prendo l’erba all’esterno e finisco con la pinna in un muro di gomme. Indietro, avanti, non posso muovermi, sono bloccato e non ci sono più Ferrari in gara. Devo scendere dalla macchina. I tifosi mi hanno fischiato, mi vergognavo».  

C’era un circuito che ti piaceva più degli altri? Alesi:

«Monaco e Monza».  

E un circuito che odiavi?

«L’Hungaroring, a Budapest, è stato il mio incubo! È un peccato perché è un posto dove le persone sono amichevoli, dove c’è una bella atmosfera… Ma non potevo guidare lì».  

Alesi indica anche il suo più grande rammarico.

«L’unico rammarico nella mia vita è di non aver vinto a Monza nel 1995».

Il tuo sorpasso più bello?

«Su Ayrton Senna, a Phoenix nel 1990, perché non era previsto».

Un aneddoto che non hai mai raccontato?

«A Phoenix nel 1990, con Ayrton appunto. Lo conosci, era una persona mistica, che aveva persino le sue tute, le sue magliette benedette… E poi non si mescolava troppo con gli altri. Ero sulla griglia di partenza, come al solito con la mia maglietta marcata Avignone, e arriva un ragazzo della McLaren e mi dice che ho bisogno di una maglietta ignifuga, che non posso partire così… Quindi corre come un matto alla McLaren, prende la prima maglietta ignifuga che trova e me la riporta. Quando me l’ha data ho visto che aveva il nome di Ayrton sopra… Ho avuto un momento di blocco, ma non ho potuto fare altro che indossarla. Arrivo secondo dietro Ayrton e in sala stampa mi hanno fatto un sacco di domande, mi hanno chiesto “cosa c’era oggi di speciale in te?” e io non sapendo più cosa dire, a un certo punto ho mostrato la maglietta ignifuga che indossavo e ho detto: “Beh, vedi è perché oggi c’erano due Ayrton in pista!”. Mio Dio, non lo avessi mai fatto. Ayrton mi ha dato con uno sguardo nero: “Ma dove l’hai presa? Come ti sei permesso? Non dovresti fare cose del genere…”. Cercai di spiegargli che non avevo avuto troppa scelta, che era stata una cosa improvvisa…».

 

 

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