Maldini: «Spalletti? Non c’è bisogno di chiarirsi. La cosa bella della maturità è anche questa»
A Muschio Selvaggio: «È venuta fuori una frase che non ho detto. Non volevo fare casino: in quel momento i protagonisti erano altri, non noi».

As Roma 27/10/2019 - campionato di calcio serie A / Roma-Milan / foto Antonello Sammarco/Image Sport nella foto: Paolo Maldini
Il direttore tecnico del Milan, Paolo Maldini, ha rilasciato una lunga intervista al podcast Muschio Selvaggio. Maldini ha ripercorso il suo passato al Milan, il ruolo del padre Cesare e ha anche parlato del peso delle aspettative familiari su di lui e delle voci sul fatto che fosse raccomandato.
«Mi è pesato, e purtroppo anche ai miei figli. Mi è pesato quando avevo 11, 12, 13 e 14 anni. Avevo un obiettivo e una passione, ma a quell’età pensi a divertirti. Avere tutte quelle aspettative mi ha tolto la parte un po’ più divertente. Ci sono due modi per affrontare ciò: prendere troppo peso e avere aspettative che non riesci a mantenere, oppure lottare e far vedere quanto vali».
Maldini parla dell’importanza di essere forti psicologicamente quando si comincia la carriera presto.
«La mentalità e la disciplina sono fondamentali. Quando hai talento sei portato a non avere tanta disciplina e questa cosa ti porta a fare di meno e negli anni ti marca e ti porta a rendere di meno. Lo dico sempre ai ragazzi: anche nella carriere del miglior giocatore di sempre esistono alti e bassi, quindi bisogna sempre avere disciplina».
La testa è tutto? Maldini:
«Importante se abbinata al talento, alla gioia del gioco e alla disciplina».
Quali sono le differenze tra Sacchi, Ancelotti e Capello?
«Nel carattere: Sacchi non ha giocato a calcio. Non dico avesse timore, ma magari aveva una maniera d’approccio diversa rispetto a quella di un grande ex calciatore. E’ stato molto difficile anche perché è cambiato il metodo di lavoro: Sacchi ci ha ammazzato. C’erano meno conoscenze rispetto ad oggi perché poi sono arrivati i preparatori atletici. Io credo di essere andato in over training per metà della mia carriera. L’importante è non mescolare troppi lavori. Io andavo a casa ed ero fidanzata con Adriana, ma non ce la facevo a mangiare fuori. Ancelotti l’ho avuto nella parte migliore della mia vita, quando hai 30 anni gestisci le emozioni in maniera diversa e godi dei momenti di tensione. La cosa che più mi manca è quel misto di eccitazione e paura che c’è quando si arriva allo stadio nelle grandi partite. Prima dici “Cazzo…”, poi speri di riprovarla. Dopo i 30 anni vivi le cose in maniera più logica e tranquilla. Capello mi ha preso e mi ha detto: “Sai di essere il migliore al mondo?” e da lì ho preso la responsabilità del migliore del mondo e mi ha fatto crescere molto».
Maldini su Maradona:
«Lui e Ronaldo il brasiliano sono i più forti. Diego poi era simpaticissimo: quando l’hanno nominato nella Hall of fame, mi sono vergognato per avergli dato tante di quelle botte e gli chiesi scusa».
Non ci sono più le bandiere, come mai?
«Io non giudico chi sceglie una squadra solo per una questione economico. Ci sono anche ragazzi di 16-17 che grazie al calcio devono aiutare la famiglia, è una cosa pesante e non semplice».
E’ più importante il talento o l’ossessione nello sport? Maldini:
«Il talento aiuta. Tutti sono preparati fisicamente e tatticamente, ma l’ossessione e la disciplina fanno la differenza. Ci sono giocatori che hanno abbassato la loro forza fisica e la mentalità a causa di un infortunio magari e non sono più stati quelli di prima».
Qual è il futuro economico del calcio? Maldini:
«In questo momento il gap è enorme e non è facile da colmare. Il Milan è stato un grande club fino al 2007, poi ha fatto fatica a stare dietro a livello di ricavi a certi club come Psg, Real e United. Noi oggi, a livello di mercato, battagliamo, perdendo dal punto di vista economico, con squadre che arrivano 18esime nella Premier League inglese. Il potere economico di queste squadre è superiore al nostro, però noi abbiamo tradizione e idee».
Che rapporto hai con Berlusconi?
«All’inizio non era un politico. Quando è arrivato al Milan ci ha raccontato il suo progetto e ci hanno fatto sognare a tutti. Berlusconi non era conosciuto come oggi, quindi qualche dubbio lo abbiamo avuto quando ci ha detto che voleva portare il Milan in vetta al mondo. Lui è arrivato e ha riorganizzato tutto il club come un’azienda che doveva funzionare. Era metodico, controllava tutto. Si preparava in tutto, prima di parlare con qualcuno voleva sapere tutto di lui. Prima di diventare primo ministro nel 1994, ad inizio stagione, ci disse che avevamo tre obiettivi: vincere il campionato, vincere la Champions e lui doveva diventare presidente del consiglio. Ci disse che se avessimo vinto la Champions League lui avrebbe avuto più chance di diventare primo ministro. E come è andata? Abbiamo vinto il campionato, la Champions e lui è diventato primo ministro. Io conoscevo suo figlio Pier Silvio, mi capitava di andare ad Arcore con lui. Se abbiamo parlato di politica? No, magari è successo sul calcio. Sulla vita in generale lui è sempre stato molto attento. Lui è sempre stato molto attento a tutti noi. Un anno fa sono stato ad Arcore con lui e Galliani, e ha chiesto cose sulla mia famiglia e cose così. Sono cose fanno piacere, vuol dire che ci tiene».
Su Leao:
«Leao è un talento pazzesco. Io sono un esteta grazie a mio papà e Leao è bello da vedere, è qualcosa di unico. Ha le carte in regola per diventare un top. Lui era in panchina al Lille e quando è arrivato gli ho detto che lui giocava per il suo Instagram perché metteva video bellissimi con dei dribbling e giocate, ma poi finiva la stagione con due gol segnati. Lo abbiamo aiutato a cambiare questa mentalità. Uno così talentuoso deve lavorare anche più degli altri per sfruttare il suo talento».
Hai chiarito con Spalletti? Maldini:
«Non c’è bisogno di chiarirsi. La cosa bella della maturità è anche questa. E’ venuta fuori una frase che non ho detto (“Hai già vinto lo scudetto, non rompere i c…”, ndr). Io non volevo fare casino ed essere rumoroso, in quel momento i protagonisti erano altri e non noi».
Ti rode non aver mai vinto il Pallone d’Oro?
«Non ho rimpianti. Mi rode di più il culo non aver vinto un Mondiale per esempio. Meglio vincere un trofeo che un premio personale».