Il Nyt celebra la fine del calcio posizionale. “Sta finendo l’epoca (tre decenni) in cui gli allenatori hanno contato più dei calciatori”. E cita Luciano e Diniz del Fluminense
Il New York Times racconta la crisi del calcio posizionale, il calcio con i moduli, con i sistemi fissi di gioco, con i movimenti codificati dei calciatori. Nella sua newsletter settimanale Rory Smith che tutto è in trasformazione, anche il calcio e che oggi quell’approccio – che ha caratterizzato tre decenni – sta sbiadendo.
Quei numerini – 4-3-3-, 5-3-2 – sono appunto formule che non dicono più granché del comportamento in campo di una squadra.
La maggior parte delle squadre adotterà un sistema quando ha la palla e un altro senza palla. Sempre più spesso, molti cambieranno i loro approcci nel corso della partita, reagendo anche alle contromisure degli avversari.
Il Nyt cita Thiago Motta.
Ogni manager avrà un senso diverso di ciò che ciascuno di quei moduli significano. Come ha detto Thiago Motta, il tecnico del Bologna: un 3-5-2 può essere un sistema aggressivo e un 4-3-3 cauto, difensivo. Il modo in cui i giocatori sono disposti, a suo avviso, non dice molto su quel che sarà il loro comportamento.
I tre decenni che vanno dal Milan di Sacchi al Manchester City di Pep Guardiola saranno, col tempo, ricordati come l’età dei moduli, la prima volta che i suoi talenti più ambiti, le figure distintive non sono stati giocatori ma allenatori.
In superficie, ci può essere scarsa somiglianza tra il tiki-taka che ha trasformato il Barcellona nel club più bello della storia e lo sturm-und-drang del gioco di pressing tedesco. In realtà, però, condividono due caratteristiche cruciali. Sono entrambi precisamente, quasi militaristicamente organizzati, giocatori che si muovono a memoria e per editto in schemi preordinati appresi e affinati in allenamento. Ed entrambi si basano, essenzialmente, su una concezione del calcio come un gioco definito meno dalla posizione della palla e dall’occupazione e dalla creazione dello spazio.
Ma, scrive il Nyt, anche il calcio è in evoluzione.
Un’innovazione regge per un po’ – il processo avviene sempre più rapidamente – prima che la concorrenza la decodifica e la contrasta.
E ci sono, ora, i primi barlumi di ciò che potrebbe venire. In tutta Europa, i team di sistema stanno iniziando a vacillare. Il caso più evidente è il Liverpool di Jürgen Klopp, alle prese non solo con una crisi fisica e mentale ma anche filosofica. I suoi rivali ora sono vaccinati al suo gioco.
Il Nyt cita ovviamente il City di Guardiola.
Il futuro, invece, sembra appartenere alle squadre e agli allenatori che sono disposti ad essere un po’ più flessibili e vedere il loro ruolo come una piattaforma su cui i loro giocatori possono inventare.
Il Real Madrid, ovviamente, ha sempre avuto questo approccio, scegliendo di controllare momenti specifici nelle partite piuttosto che il gioco stesso, ma lo ha fatto con il vantaggio piuttosto significativo di possedere molti dei migliori giocatori sulla terra. Che altri abbiano iniziato a seguire quel modello è molto più istruttivo. Il Napoli di Luciano Spalletti, la squadra più accattivante d’Europa, si lancia verso il titolo di Serie A grazie a uno stile di gioco libero e virtuoso che non schiera burattini del calibro di Khvicha Kvaratskhelia e Victor Osimhen, ma li incoraggia a pensare, interpretare, da soli.
Fernando Diniz, l’allenatore del Fluminense brasiliano, ha persino dato un nome a questa novità: lo “stile aposizionale“, ponendolo in conflitto diretto (ma forse non intenzionale) con il” gioco posizionale” che Guardiola e le sue squadre hanno perfezionato.
Diniz, come Spalletti, non crede nell’assegnare ai suoi giocatori posizioni o ruoli specifici, ma nel permettere loro di scambiarsi a piacimento, di rispondere alle esigenze del gioco. Non è interessato al controllo di aree specifiche del campo. L’unica zona che conta per lui, e per la sua squadra, è quella vicino alla palla.
Ai suoi occhi, il calcio non è un gioco definito dall’occupazione dello spazio. È centrato, invece, sulla palla: finché i suoi giocatori sono vicini ad essa, non importa minimamente quale posizione teorica occupi. Non hanno bisogno di aderire a una formazione specifica, a una stringa di numeri codificati nelle loro teste.