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Rettore: «Kobra fu spinta da Radio Vaticana, ai sacerdoti stranieri piaceva la mia musica»

Alla Verità: «Gli italiani non mi hanno mai stimata troppo. Le femministe una volta mi fischiarono per com’ero vestita»

Rettore: «Kobra fu spinta da Radio Vaticana, ai sacerdoti stranieri piaceva la mia musica»

La Verità intervista Donatella Rettore. Racconta il suo rapporto con la fama, le delusioni, gli attacchi subiti, ma anche i trionfi.

«La fama non ti sfama. Oggi le direi anzi che porta soprattutto tante scocciature. Non posso farmi una benedetta passeggiata o la spesa senza venire riconosciuta e senza che qualcuno mi chieda un malefico selfie».

L’ha sempre vissuta così? Rettore:

«Il successo ti stritola. E io, lo ammetto, non sono la donna forte che sembro. Il momento più bello è quando vedi le prime luci che si accendono all’orizzonte. Quando la fama arriva, però, ti chiede poi il conto. Alcune scelte, nella mia storia, le ho sbagliate di brutto, perché mancavo di una guida. Ma dagli errori si impara. Serve perdersi, a volte, per ritrovarsi».

La Rettore racconta che il vero inizio della sua carriera è stato quando aveva 3 anni.

«A tre anni. Scappai dalla mano di mia madre per ballare e cantare con gli orchestrali del Caffè Florian in piazza San Marco a Venezia. Il suono dal vivo degli strumenti è stato ed è tutt’ora per me una stoccata allo stomaco».

Parla di Kobra, una delle sue canzoni più famose, piaceva a Radio Vaticana.

«Sì, ma sa perché? Perché c’erano tanti sacerdoti non italiani, che amavano la musica e che non stavano tanto a badare al testo. Gli stranieri mi hanno sempre stimato moltissimo. Agli italiani in proporzione sono piaciuta meno, forse perché non appaio come tipicamente italiana».

Ci fu chi «Kobra» la voleva censurare. La Rettore racconta:

«Una maestra di Palermo fece un esposto perché traviavo i suoi alunni, turbavo le menti dei bambini. Ma la malizia sta solo negli occhi di chi guarda. Il singolo era nei negozi, ma non poteva essere venduto. Quando la dissequestrarono, le vendite si impennarono. Si immagini lei il giudice: erano i tempi delle Brigate rosse, e dei femminicidi, gli mancavano solo la maestra e il serpente della Rettore».

Ma come la avrebbe dovuta cambiare?

«Divertentissimo: mi aspettavo che togliessero parti come “il cobra si snoda, si gira, mi inchioda, mi chiude la bocca, mi stringe, mi tocca”. Invece rimase tutto intatto, tranne la frase finale: “Quando amo”. Cioè il sesso sì e l’amore no. Mi venne il sospetto che i censori fossero più progressisti di me. Devo ammettere che il panico dei moralisti ha qualcosa di perversamente geniale. La strofa fu omessa dal testo stampato nell’lp, ma io non l’ho mai tagliata dal vivo».

La Rettore racconta che un giorno fu bullizzata dalle femministe.

«Dovevo cantare a piazza Farnese, e appena salii sul palco partirono i “buuu”. Mi assicurarono che avevo cantato meglio di tutti, ma avevo dato fastidio per come ero vestita. È stato lì che ho capito che non bisogna tanto cambiare gli uomini, quanto le donne che non capiscono che la femminilità, l’essere belle e graziose, non è un danno».

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