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Infantino incarna il ridicolo dei padroni del calcio ed è l’antitesi dello sport: invita alla genuflessione

I valori dello sport li incarna Anna Politkovskaja che sfida le regole, non certo lui. Per Infantino la birra, come i diritti civili, è un lusso

Infantino incarna il ridicolo dei padroni del calcio ed è l’antitesi dello sport: invita alla genuflessione
Qatar's Emir Sheikh Tamim bin Hamad al-Thani waves to the crowd as he arrives with FIFA President Gianni Infantino for the Qatar 2022 World Cup Group A football match between Qatar and Ecuador at the Al-Bayt Stadium in Al Khor, north of Doha on November 20, 2022. (Photo by KARIM JAAFAR / AFP)

Andrebbe ringraziato, Infantino, per aver plasticamente riportato il manifesto mondiale dei conservatori sovranisti dei quali, da presidente Fifa, è legittimamente – oltre che ragionevolmente – aspirante leader. Lo ha fatto riassumendo efficacemente le due idee alla base di questo movimento trasversale e transnazionale: che l’Occidente, con le mani lorde di millenario sangue, sia ipocrita per definizione e che ritenere indispensabili i più sacrosanti diritti civili è cosa assai radical chic.

Il primo concetto, noto da tempo, è alla base di un modo di vivere la modernità, largamente condiviso, che punta a generare un senso di colpa negli individui basato sulla certezza del male commesso dai propri antenati – ovvero l’ultima incarnazione di quanto i monoteisti del mondo hanno chiamato, nel corso dei secoli e con un certo successo, peccato originale. All’apparenza sembrerebbe un sofisticato esercizio di storicizzazione, che ci renda tutti uguali dinanzi al destino; nella sostanza è il metodo subdolo con il quale il potente di turno declina le proprie responsabilità. Non c’è vittima e non c’è carnefice, siamo tutti un po’ santi e un po’ banditi, ciascuno racchiude in se’ un onesto cittadino e un lestofante e non è educato indicare nel proprio prossimo qualcuno con più responsabilità di noi. Stranamente, in questa melassa di umanità, ad Infantino è capitato di essere al vertice della organizzazione che controlla lo sport più popolare del mondo. Ma è un dettaglio a sottilizzare troppo il quale si rischia di uscire fuori dalla necessaria etichetta.

Il mantra che vuole l’Occidente colpevole di qualunque nefandezza contemporanea – caro tanto ai pauperisti quanto agli spiriti nobili delle marce per la pace nei luoghi in cui non c’è guerra ma molta salsiccia norcina -, che fa risalire qualunque evento odierno a qualche orrendo sopruso del passato, sia esso la Prima Guerra Punica o il Colonialismo, è un’arma che serve a proteggere il forte, non il debole. Serve a dire che c’è una guerra in corso, ma tutto sommato quelli che subiscono i bombardamenti un po’ se la sono cercata, con la stessa silenziosa operosità con la qual si fa girar voce che la ragazza molestata, quella gonna un po’ corta, in fin dei conti, la vestiva. Infantino però è leader e come tale va oltre e sostiene, in un potente afflato mistico che, in tema di diritti del lavoro, l’Europa dovrebbe imparare dal Qatar – anche qui adoperando un espediente retorico nuovo solo agli sprovveduti, quello che prende a prestito una serie di eventi drammatici (gli sbarchi dei migranti del Norda Africa) per costruirne una intera storiografia (Europa continente inospitale) o, viceversa, deforma e derubrica una prassi disumana (dissidenti politici e giornalisti investigativi ammazzati) per sostenere che, in fin dei conti, tutto il mondo è paese (la censura russa è identica a quella europea). In modo analogo, tantissimi, seppur dopo anni di pandemia, ancora non riescono a cogliere la differenza tra un ospedalizzato e un morto, sostenendo che i vaccini contro il Covid erano sostanzialmente inutili metodi del potere oppressivo – “tanto ci si ammala lo stesso”. Sappiamo bene con quale approssimazione il calcio ha gestito gli ultimi anni di quella crisi sanitaria, non a caso.

Il secondo concetto espresso da Infantino tocca un altro canovaccio noto. “Se la gente non può bere birra per tre ore al giorno, sopravviverà”. È il magnifico tema – assai caro ai vetero-conservatori mondiali – dei diritti civili che, saranno pure giusti, ma non hanno carattere di reale necessità ed il cui perseguimento rende poco virili, inflaccidisce gli individui infiacchendone i costumi.  L’idea che ciascuno possa decidere quando e dove bere un bicchiere di vino o una pinta di lager appartiene all’insieme dei lussi cui ogni individuo può attingere, se ne ha la possibilità – ma senza insistere. La libertà personale va riposta sullo stesso scaffale delle vacanze in Costiera: una cosa che fai se proprio hai tempo e risorse. Il vertice Fifa non è certo solo in questo approccio alla vita comunitaria. La possibilità di riconoscersi nelle associazioni Lgbtq+ (magari ritrovarsi proprio in quell’astruso “+” finale) vale, per moltissimi, quanto l’avere accesso ad un piccolo parco giochi che i “normali” hanno costruito e magnanimamente ceduto in usufrutto alle minoranze. La tua bionda puoi berla nelle ore stabilite, il tuo desiderio puoi legittimamente viverlo lontano da occhi indiscreti – questa che all’apparenza sembra un doveroso richiamo al decoro e al rispetto del multiculturalismo, nella realtà è un giochino in cui si spinge al silenzio l’altro, tipicamente chi ha meno forza di gridare il proprio dissenso.

In passato, il potere ha violentemente puntato il dito contro singoli atleti, colpevoli di incarnare valori considerati errati o devianti. Si sono letteralmente gettati al macello i non allineati, seguendo parametri arbitrari, come arbitrario è per sua natura il potere. Lascia attoniti la semplicità con la quale lo stesso potere, nella sua più totalitaria e completa manifestazione di sé, insegni ai più giovani, ai nuovi, agli appassionati che ci sono e che verranno, agli ultimi e ai primi, che il modo sportivo di affrontare la vita consista nella genuflessione, nel silenzio, nel ritiro monastico – dimenticando artatamente che le Anna Politkovskaja e gli Harvey Milk della terra altro non sono se non enormi esempi di sportivi, persone che hanno sfidato le regole contro ogni legittima aspettativa e facendo leva sulla irriducibile forza mentale del campione.

La retorica del potere di Infantino lascia un profondo senso di amarezza ma – e questo è importante – un ancor più profondo senso di ridicolo alla sola idea che possano essere questi i discorsi dei padroni del pallone. Un evento lo si può seguire o lo si può boicottare. Ciascuno deciderà per sé e, in entrambi i casi, non cambierà il mondo di una virgola. Ma la pretesa di scrivere la storia da un pulpito barcollante può far solo sorridere – e rafforzare la certezza che i diseredati, i discriminati, gli isolati troveranno sempre conforto nel pallone, opera di quanto, più di ogni altra esperienza umana, unisce, accoglie, affratella: il piacere.

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