Al CorSera: «A Londra iniziai a lavorare nelle cucine del Savoy. Mi bullizzavano, mi dicevano tutti i giorni “fottuto wop”».

Sul Corriere della Sera un’intervista allo chef Giorgio Locatelli. Si è appassionato alla cucina nel ristorante di
famiglia, la Cinzianella, sul lago di Corgeno. Si è trasferito a Londra nel 1986. Nel 2002 ha aperto Locanda Locatelli in Seymour Street. A Dubai possiede Ronda Locatelli. E’ uno dei protagonisti di MasterChef. Tra i clienti della Locanda Locatelli ci sono tanti vip e persino teste coronate, come Carlo e Camilla d’Inghilterra.
«È un listone, ci sono anche i re e le regine. Ma per noi i clienti sono tutti importanti, alla fine pagano tutti lo stesso. Abbiamo sempre cercato di respingere quell’idea di snobismo degli altri ristoranti stellati».
Non solo re, alla Locanda vanno anche molti vip, racconta Locatelli.
«Abbiamo un bel po’ di vip: vengono qui perché non ne parliamo, non abbiamo mai chiamato un fotografo. L’altra sera c’era qui Madonna con i figli: ha mangiato pasta, ma vegana. Quando abitava a Londra stava qua dietro e ogni tanto telefonava per farsi portare una bottiglia d’acqua minerale: ha usato sempre il ristorante e ha i suoi due tavoli fissi, lei qui si sente a suo agio»
Racconta gli inizi a Londra. Non è sempre stato tutto rose e fiori, anzi. Nel 1985 lavorò alle cucine del Savoy, il mitico hotel sullo Strand.
«Lì mi bullizzavano, eravamo wop (un pesantissimo insulto razzista riservato agli italiani), ti dicevano tutti i giorni “fottuto wop”».
Parla della capacità che hanno gli italiani di adattarsi ad ogni ambiente e anche delle difficoltà.
«E’ difficile essere italiano tutto il giorno a Londra: devi anche abituarti, devi entrare nel sistema che ti accoglie. Devi avere questa capacità, che gli italiani hanno, di modellarsi sul posto in cui vai, di accettare le altre persone, il loro modo di essere. Perché magari gli italiani in quel tipo di società trovano dei canoni ai quali hanno aspirato prima di partire: abbiamo qui della gente incredibile che si lamenta dicendo che non avrebbe potuto fare quello che ha fatto se fosse rimasta in Italia».
Tra questi c’è anche lui:
«Mia moglie dice sempre: non avremmo mai potuto realizzare in Italia quello che abbiamo fatto qui, non ci avrebbero mai prestato i soldi. Il sistema britannico dà più importanza all’imprenditorialità: qui c’è meritocrazia, mentre dell’Italia mi dà fastidio il nepotismo».