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Laver: «La mia racchetta parlava per me. Non ne ho mai spaccata una, perché ne avevo solo due»

Intervista del Telegraph al mito del tennis: “Federer può diventare una star del cinema. Kyrgios ora ha capito di poter vincere Wimbledon”

Laver: «La mia racchetta parlava per me. Non ne ho mai spaccata una, perché ne avevo solo due»

Un gradino più in alto di Roger Federer, nell’iconografia corrente del tennis, c’è ancora Rod Laver. L’uomo che “abita il regno più rarefatto”, scrive il Telegraph che l’ha intervistato. L’unico giocatore in assoluto ad aver chiuso il Grande Slam due volte, “Rod the God”. Federer, per sua stessa ammissione, adora Laver. La Laver Cup che ha chiuso la sua carriera l’ha praticamente inventata lui.

“Roger potrebbe diventare una star del cinema”, dice Laver. Lui invece è sempre stato un anti-star. “Lascio parlare la mia racchetta. Per come la vedevo io, non dovevi presentarti alle persone. Roger è un po’ nella stessa vena. Gioca perché adora il tennis. Cerca sempre di perfezionarsi. Con la racchetta che usavo io, una Dunlop Maxply, dovevi avere un tempismo perfetto per colpire bene. Ecco perché il mio gioco è andato bene nel mondo amatoriale. Non molte persone potrebbero usare una racchetta di legno con tale abilità. Mentre perseveravo, all’improvviso padroneggivo il topspin. Il mio allenatore, Charlie Hollis, mi disse: ‘Non vincerai mai Wimbledon con uno slice di rovescio’. Devi imparare a usare il topspin. Quelle erano le curve di apprendimento. Nessun altro mancino aveva imparato a colpire un rovescio in topspin. Mi ha messo a un altro livello, un po’ più in alto”.

Oggi, i 198 titoli singoli di Laver costituiscono il più grande bottino individuale di sempre. Nel 1962, era così irresistibilmente dominante che non si limitò a vincere tutte e quattro i major, ma vinse anche altri 18 tornei. La quasi perfezione, secondo lui, era un prerequisito per le ambizioni che si era prefissato, scrive il Telegraph.

“Vincere Wimbledon è stata la cosa più importante nella carriera di chiunque. Quello era l’obiettivo. Sapevo che dovevo imparare a giocare sull’erba, a capire la pressione, a giocare ogni tipo di palla. È così che sono migliorato, grazie all’intensità. Stai imparando il gioco di gambe, stai guardando la palla un po’ più da vicino e devi essere in grado di colpire al centro della racchetta ogni volta, non solo una volta su 10”.

L’autocontrollo era al centro del suo carattere. “Puoi essere irascibile e lanciare la tua racchetta ovunque. Molti giocatori lo fanno. Io non lo facevo, perché ne avevo solo due con cui giocare“.

Il discorso finisce inevitabilmente per virare sul connazionale Nick Kyrgios: “Kyrgios ha tutte le capacità del mondo. Probabilmente è uno dei più grandi battitori del tennis. È preciso, può giocare sotto pressione. Ma non pensava di poter vincere Wimbledon. Un mese o due dopo, gli ho detto: ‘Puoi vincere alcune di queste partite. Perché non ti applichi, amico?’. L’ha capito anche lui. Questa è stata la cosa più grande che gli è successa”.

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