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Cucinelli: «Ho imparato la bellezza tirando il carro dei buoi, per mio padre i solchi dovevano essere perfetti»

Al CorSera: «Dopo il lavoro i miei dipendenti non devono più essere raggiungibili per questioni aziendali. Licenzio chi offende i colleghi».

Cucinelli: «Ho imparato la bellezza tirando il carro dei buoi, per mio padre i solchi dovevano essere perfetti»

Il Corriere della Sera intervista Brunello Cucinelli. A 25 anni, nel 1978, ha fondato la sua azienda di cachemire di cui
è presidente esecutivo e direttore creativo. Racconta la sua infanzia: è nato a Castel Rigone, in provincia di Perugia, figlio di contadini.

«Ho imparato cosa sia la bellezza tirando il carro dei buoi. In una famiglia contadina, com’era la mia, ognuno aveva il proprio ruolo e ogni compito veniva assegnato in funzione dell’età. La nonna si dedicava alla cucina, il nonno curava il pollame, mia madre badava a noi figli, mentre il babbo, un tipo robusto, era addetto ad arare la terra con l’aratro e io, bambino, dovevo fare in modo che i buoi andassero ben diritti. Lui mi ripeteva che i solchi dovevano essere bene allineati perché erano più belli, associandosi all’armonia del creato. Negli anni Sessanta, ci trasferimmo alla periferia di Perugia perché il babbo aveva trovato un lavoro in fabbrica: il suo sogno era fare l’operaio e avere un salario mensile. Dalla sera alla mattina ci trovammo in casa un televisore, il bagno e persino l’acqua calda, anche se la pace della campagna era svanita. E l’entusiasmo di mio padre per la nuova occupazione venne ben presto smorzato. Il lavoro era molto duro, lui non si lamentava per questo, ma veniva umiliato. E vedere quest’uomo con gli occhi lucidi, le mani screpolate, fu un profondo dolore. Allora mi sono detto: non so cosa farò nella vita, ma cercherò un riscatto di tale umiliazione. Nella mia azienda ho adottato dei principi nel rispetto della dignità umana».

L’approdo all’alta moda è avvenuto grazie all’amore.

«A Perugia conobbi una ragazza, Federica, che cominciai a corteggiare ed è tuttora mia moglie: aveva un negozietto di abbigliamento, in particolare maglioni, e da lì parte la mia passione per il cachemire colorato, essendo affascinato da Benetton. Volevo creare un prodotto italiano di qualità per gente danarosa…».

Era attirato dal lusso?

«È una parola che non amo ma, volendo creare un prodotto artigianale di pregio, era costoso e dovevo rivolgermi a un pubblico abbiente. Però, all’epoca, non avevo i soldi nemmeno per comprare il primo materiale necessario su cui lavorare. Per fortuna, un signore che conosceva la mia famiglia, mi prestò 20 chili di cachemire, dicendomi “tranquillo, me li pagherai quando potrai”… tra noi contava la parola data».

Racconta il suo percorso scolastico:

«Dopo geometra, dove raggiunsi il diploma con il 6 politico, era il ’68-’69, il periodo della contestazione giovanile, mi iscrissi a ingegneria che ho frequentato per soli tre anni. La mia vera università, è stato il bar del quartiere con gli amici. Ci trascorrevamo tutta la notte. Un po’ giocavamo a carte e un po’ discutevamo di politica, di economia, di donne…».

In quel gruppo di amici c’erano molti studenti del liceo classico che studiavano filosofia, cosa che destò il suo interesse.

«Non ero in grado di partecipare ai loro discorsi, per esempio su Kant. Comprai un libro sul grande filosofo tedesco e una sua frase mi cambiò la vita: “Agisci in modo da trattare l’umanità sia nella tua persona, sia in quella di ogni altro, sempre come nobile fine e mai semplicemente come mezzo”. Poi ho continuato a studiare Socrate, Platone e un’altra folgorazione l’ho ricevuta dal libro di Marguerite Yourcenar Memorie di Adriano, un imperatore illuminato».

Quello di Cucinelli è un impero economico. Come si concilia il lusso con il suo francescanesimo?

«I miei genitori mi hanno donato la povertà, pur non soffrendo la fame. Ora sono ricco, ma non è cambiato niente per me. Le possibilità economiche, che non hanno alterato il mio animo, di per sé stesse non danno la felicità, tuttavia mi hanno dato la possibilità di realizzare tante cose che non avrei potuto fare altrimenti: a Solomeo, il borgo dove vivo con la mia famiglia, c’è la fabbrica, il teatro, la biblioteca, il monumento alla dignità dell’uomo e, per incitare i giovani a comprendere il valore del lavoro manuale e delle nostre preziose tradizioni, ho fondato una scuola di alto artigianato, ispirata alle idee di quei grandi visionari che furono John Ruskin e William Morris».

Racconta il suo modo di gestire i dipendenti.

«I miei lavoranti non devono avere sempre il cellulare o il computer acceso: a fine giornata, dalle cinque del pomeriggio in poi, quando tornano a casa, non devono più essere raggiungibili per questioni di lavoro».

E non sono ammesse offese.

«Mi piace il rigore e in azienda, se qualcuno offende qualcun altro, viene subito licenziato, indipendentemente dal suo ruolo».

Non sopporta il disordine.

«Sono però molto ordinato e il disordine mi fa alterare. Dico ai miei impiegati che la loro scrivania, a fine giornata, deve essere lasciata in ordine, in quanto il giorno seguente potrebbe essere utilizzata da altri».

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