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Sainz: «Siamo in una società in cui ti criticano per qualunque cosa dici, mi tengo le mie idee»

Intervista a La Stampa. «Le strategie? Se c’è un errore è di tutti, a cominciare da me che magari non ho trasmesso in modo chiaro il mio feeling»

Sainz: «Siamo in una società in cui ti criticano per qualunque cosa dici, mi tengo le mie idee»
Melbourne (Australia) 10/04/2022 - gara F1 / foto Imago/Image Sport nella foto: Carlos Sainz

La Stampa intervista Carlos Sainz. Riportiamo, di seguito, un estratto delle sue dichiarazioni.

Qual è lo sport più pericoloso che ha praticato in vacanza?

«Il surf con foil» (Parliamo di tavole che planano sull’acqua spinte da motori elettrici, una delle ultime trovate da spiaggia).

La Ferrari non dice nulla?

«No, sanno che sono abbastanza responsabile. E poi sono sempre in giro a fare sport, un margine di rischio è inevitabile».

Quanto pesa un papà pilota e campione?

«Mi piace parlare con lui di gare, del mio lavoro e della Formula 1 in generale. Sono conversazioni costruttive. Consigli me ne dà sempre meno. Comincio a essere io quello che ne sa più di motori! Essere pilota Ferrari significa esperienza e capacità: sono cresciuto tantissimo come persona e come pilota».

Perché ha scelto la Formula 1 invece dei rally?

«Perché a 10 anni quando accendevo la tv vedevo Fernando Alonso che vinceva. Mi ha fatto innamorare della F1, volevo essere come lui, andare alla Ferrari. Era l’età dei sogni».

Italiani e spagnoli sono così somiglianti come si dice?

«Degli europei siamo i più simili, pur con le nostre differenze culturali. Mi sono sempre capito e sono andato d’accordo con italiani e portoghesi. Poi di s…i ce ne sono dappertutto (ride)».

In Italia tra un mese si vota. Quali sarebbero le prime tre decisioni di Carlos Sainz se fosse un politico e venisse eletto?

«Siamo in una società in cui ti criticano per qualunque cosa dici. Preferisco tenermi le mie idee e votare per chi nel
mio Paese le porta avanti».

A proposito di Monza: mancano due settimane, e stavolta ci sarà il pubblico.

«Sì, vero. Sono arrivato secondo con la McLaren nel 2020, eravamo in pieno Covid e la corsa era a porte chiuse, eppure fu già un’emozione incredibile. Non oso immaginare come sarebbe festeggiare con la tuta rossa. Abbiamo una macchina competitiva, non vedo l’ora di arrivarci».

Su Instagram ha pubblicato un selfie con Leclerc, Binotto e sullo sfondo i dipendenti della Ferrari. Ogni tanto litigate?

«No, non sono mai arrivato alla lite con nessuno dei due. Abbiamo discusso e confrontato idee diverse, questo sì».

Nel 2022 sono aumentate le aspettative: è più difficile andare d’accordo quando l’obiettivo è sempre e solo vincere? Il patto tra voi in pista qual è?

«Per me non è stato più difficile, mi sono sempre trovato bene con Charles, abbiamo lavorato insieme e andiamo
d’accordo a livello personale. L’esempio è la qualifica in Francia (pole position di Leclerc grazie all’effetto scia
del compagno di squadra, ndr). La squadra viene prima, noi della Ferrari abbiamo in testa questo valore. Il patto? Io provo a vincere, lui prova a vincere. Se c’è da darsi una mano, ce la diamo. Non è necessario un ordine, ci capiamo da soli».

È vero che vi sfidate di continuo anche fuori dalla pista?

«Vero. A scacchi siamo sullo stesso livello, a padel e golf vinco io, lui è più bravo con la musica. Ma con un calendario così lungo è sempre più difficile trovare il tempo per giocare. Perché? Siamo al limite, non tanto per me quanto per la squadra. Dover dire al partner e ai figli che stai via oltre 200 giorni è dura per una famiglia. Dobbiamo rispettare la vita privata di chi lavora in F1».

Come fa a divertirsi con il golf? È l’estremo opposto dell’automobilismo.

«Quando sei al volante dipendi da tanti fattori fuori dalla tua portata, mentre nel golf non hai problemi di pit stop,
gomme, motori, macchina, strategie. Sei tu con il tuo swing, la pallina e la mazza. Poi stai all’aria aperta e per tre o quattro ore non guardi il cellulare. Mi rilassa».

A inizio stagione si lamentava di non riuscire a portare al limite la macchina.

«Ci sono monoposto in cui impieghi tempo ad adattarti e altre che al primo giro dei test invernali ti fanno dire ‘’ok,
è una vettura fatta per me”. Quest’anno la guida non mi viene naturale. Ho dovuto lavorare per trovare l’assetto
migliore e cambiare il mio stile. Comunque a una monoposto poco competitiva ne preferisco una difficile e competitiva come quella attuale, che mi ha permesso di vincere il mio primo Gran premio. Non sono ancora al cento per cento: ci sono gare in cui a ogni curva devo pensare a quello che faccio».

Tema delicato: le strategie. Chi ha l’ultima parola durante un Gran premio?

«La squadra. Se ti dicono “box”, devi rientrare. I tecnici hanno molti più dati. Noi dall’abitacolo trasmettiamo
le nostre sensazioni, e non è facile, perché durante la gara sei sotto pressione. Se c’è un errore è di tutti, a cominciare da me che magari non ho trasmesso in modo chiaro il mio feeling».

Il circuito di Spa viene definito l’enciclopedia della Formula 1. La curva dell’Eau Rouge è l’esame di laurea?

«È la curva più impressionante nel primo giro delle prove libere. Dopo che ci sei passato due o tre volte diventa relativamente semplice. A meno che piova, allora è il punto più difficile di tutto il campionato».

Chi vince il Mondiale?

«Ho fiducia che possa ancora vincerlo un pilota Ferrari. Peccato il mio ritiro in Austria che mi ha allontanato dalla volata. C’è anche il titolo dei costruttori: finché non sarà finita continuerò a crederci».

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