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L’atipico Garella: il calcio non si spiegava le sue parate eppure funzionava

Dalle garellate ai due scudetti. A Verona Bagnoli si infuriava per il clamore che i media davano ai suoi interventi. Fu Allodi a portarlo a Napoli

L’atipico Garella: il calcio non si spiegava le sue parate eppure funzionava

Il Napoli probabilmente no. Ma il Verona, certamente, senza Garella il suo unico scudetto non lo avrebbe mai vinto. A soli 67 anni se n’è andato un atipico del calcio italiano. Non solo per aver vinto due scudetti con squadre che nella loro storia ne sommano tre. Ma, soprattutto, per il modo di interpretare il ruolo del portiere. Garella era un irregolare. Un brutto che funzionava. Era un pugno nello stomaco per gli esteti del ruolo e anche per la nobile scuola italiana. Era sgraziato come pochi eppure tremendamente efficace. Il suo non era uno stile da insegnare alle scuole calcio. Parava con i piedi («è il più forte portiere del mondo, senza mani però», disse l’Avvocato). Respingeva come poteva. Ma gli avversari non segnavano. A Messico 86 Enzo Bearzot portò con sé Galli, Tancredi e Zenga, i primi due li fece rosolare in una concorrenza che ebbe conseguenze nefaste. All’epoca il più forte, molto probabilmente, era proprio Garella. Ma aveva il difetto di essere, per alcuni, stilisticamente impresentabile.

A Napoli lo portò Italo Allodi che ragionava ancora da dirigente federale. Quell’estate arricchì il Napoli di giocatori che avrebbe suggerito alla Nazionale: Giordano soprattutto e poi Garella reduce dallo storico campionato vinto col Verona. Oltre a Pecci e, volendo, anche Renica. Parava talmente tanto, e in ogni modo, che qualche volta a fine partita Osvaldo Bagnoli si infuriava. Non digeriva che la vulgata fosse: “il Verona vince grazie a Garella”. Quella stagione – 84-85 – si inalberò anche a Napoli al termine di Napoli-Verona 0-0 e fu protagonista di un botta e risposta radiofonico con Enrico Ameri. Bagnoli, pur di difendere la propria tesi, disse: «Ha fatto una grossa parata, se l’ha fatta, sulla punizione di Maradona. Garella è un portiere che non trattiene la palla, tutte le volte che si tuffa o che respinge qua diventa una grossa parata».

Quel giorno Garellik – questo il soprannome – respinse tutto quel che ci fu da respingere. Compreso una punizione di Maradona destinata a morire sotto la traversa. Ma la partita che oggi sarebbe stata al centro di numerose articolesse di approfondimento tecnico, fu Roma-Verona sesta giornata di campionato. Fu in quel dopo-partita che Bagnoli sbottò e dichiarò: «Garella ha solo fatto il proprio dovere». Ne scrisse anche Gianni Brera su Repubblica:

“la cronaca locale ha seguitato a esaltare le prodezze di Garella: Bagnoli ha subito capito l’ antifona precisando che Garella aveva semplicemente fatto il suo dovere. In effetti ha gagliardamente deviato alzato respinto, mai trattenuto: e viene fatto di sospettare che nessun tiro fosse veramente irresistibile”.

A Napoli giocò tre anni. Di papere vere e proprie ne ricordiamo solo una. L’anno dello scudetto, Napoli-Atalanta, sul 2-1, quando ancora non c’era la costruzione da dietro, sbagliò il passaggio con i piedi e servì Incocciati che lo infilò dal limite dell’area. Quel Napoli subiva pochi tiri in porta. Lui, però, si faceva trovare pronto. Si rivelò un portiere solido. Fu prezioso in un Napoli-Sampdoria 1-1 quello del gol di testa (per alcuni di mano) rasoterra di Maradona. Nel 1988, durante Napoli-Inter, fu una accesa lite in campo tra lui e Renica (testa contro testa a dirsi di tutto) nei minuti finali la spia di un malessere che in poche giornate travolse quel Napoli che sembrava dei record e che invece si piantò sul traguardo. La fine fu ingloriosa. Quell’uscita bassa (il suo punto debole) su Virdis il 1° maggio, lo scudetto perduto e l’etichetta di sobillatore dello spogliatoio al pari di Bagni Giordano e Ferrario. Finì in Serie B, a Udine, dove contribuì alla promozione (anche lì ricordano una sua parata di piede contro la Cremonese) e riuscì a giocare l’ultima stagione completa in Serie A. Concluse la carriera ad Avellino.

Come tanti portieri, ha avuto i suoi momenti bui. Il suo peggiore fu alla Lazio dove arrivò nel tragico anno della morte di Maestrelli e giocò titolare la stagione 77-78 con Vinicio in panchina. Venne preso di mira dopo una brutta serata in Coppa Uefa: la squadra di Vinicio venne travolta 6-0 dai francesi del Lens trascinati da Didier Six. A rivedere quei gol, responsabilità particolari non ne ha. Sì, sul quarto si fece infilare da Six con un pallonetto e il sesto lo incassò su sua uscita bassa (ancora). Venne coniato il termine garellate (il copyright è di Beppe Viola) che era di fatto un sinonimo di papera. A lanciarlo in Serie A fu Giagnoni che un giorno nel Torino lo schierò al posto dell’infortunato Castellini. A Verona arrivò nel 1981, vinse il campionato di Serie B e, tre anni dopo, lo scudetto.

È rimasto non solo nel guinness del campionato italiano, anche nell’immaginario degli italiani. Non solo dei tifosi di Napoli e Verona.

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