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Aranzulla: «Soffro di attacchi di panico da quando svenni sotto un bilanciere da cento chili»

Al CorSera: «Assumo melatonina per dormire, quando programmi ci vuole precisione, se non dormi non ce l’hai. A soldi potrei non lavorare più, ma mi piace».

Aranzulla: «Soffro di attacchi di panico da quando svenni sotto un bilanciere da cento chili»
Foto dall'account Facebook Aranzulla

Chiunque, almeno una volta nella vita, alle prese con un problema di informatica, si è rivolto al sito di Salvatore Aranzulla per trovare la soluzione perfetta in pochi click. Oggi il Corriere della Sera intervista l’imprenditore 32enne che gestisce la Aranzulla srl, un’azienda in crescita da due decenni. Il primo articolo apparve sul suo sito nel gennaio 2002, oggi l’azienda resiste e continua a crescere mentre lui fa consulenze a 10mila euro l’ora. Il sito Aranzulla.it ha 690mila utenti al giorno, in Italia è visitato più di Amazon. L’azienda dichiara per il 2021 3,8 milioni di fatturato.

Aranzulla va a letto alle 22 e si sveglia alle 7.10. Fa una passeggiata e passa tutto il resto del giorno in casa.

«Non mi va di essere riconosciuto».

Ecco perché ha dato massima importanza all’allestimento del suo attico nell’esclusiva cittadella di Citylife, a Milano: domotica da centomila euro, un impianto che «cambia l’80% dell’aria ogni ora», guardie armate in giardino, sei scaffali di manuali di alta pasticceria, il suo hobby più longevo. Il più recente è la palestra:

«Ho il 13% di massa grassa, sto lavorando per scendere a 12. Perfetti si è a 8%, ma alcune funzioni sono a rischio. Segno su una app le calorie».

Fa fatica a dormire.

«Questo mese ho perduto 20-30 minuti di sonno ogni notte. Eppure ho orari rigidi, assumo melatonina, un anello traccia come dormo. Dormo male. Basta un pensiero o uno spiraglio di luce e non prendo sonno».

Il sonno per lui è importante. Dice che se avrà un figlio non dormirà mai con lui.

«Senta, io oggi ho da programmare quindicimila righe di codice. Un errore rovina tutte quelle dopo. Ci va precisione. Se non dormi non ce l’hai».

È stressato?

«A soldi potrei non lavorare più. Ma mi piace. È fuori dal mio ufficio che impazzisco: è pieno di scappati di casa. Le aziende assumono giovani incapaci per risparmiare. Ci ho a che fare ogni giorno. Vogliono un testimonial. Dicono: fissiamo una call. Io chiedo prima: avete il budget? Risposta: per ora no, ma sentiamoci lo stesso, anche per un saluto. Un saluto? Ma che lavoro fa questa gente licenziabile? Telefona?»

Il suo sito come guadagna?

«Il 50% viene da pubblicità. Il 25% da link affiliati alle aziende. L’altro 25% dai miei corsi, dai marchi di cui sono testimonial. Da due anni ho disdetto i miei investimenti in prodotti di banche italiane, costosi e dai rendimenti imbarazzanti faccio da solo».

Le piace sempre il lavoro?

«Due anni fa ho preso due settimane di pausa. Mi cullavo con l’idea di non lavorare più, ma mi sono annoiato. In un giorno ho finito Agatha Christie, Netflix mi stufava. Ieri c’era un processo che richiedeva 68 minuti. Io e il mio programmatore lo abbiamo riprogrammato, ora ne impiega uno, mi diverto più così».

Parla del suo rapporto con la madre, che vive vicino Catania e che non vede quasi mai e con i viaggi.

«Ci sentiamo quindici volte al giorno, ma io viaggio poco, per la pandemia. L’anno scorso sono andato a Taormina in un resort di lusso, e non da lei. Scenderò per votare».

Ha tre fratelli.

«Giuseppe, detto Puccio, installa fibra ottica. Davide fa l’operaio in Austria. Ha imparato il tedesco da solo. Elia studia. Ci sentiamo spesso. Hanno due, quattro e sei anni meno di me. Con Puccio una volta litigavamo: diceva che con tutti i miei contatti non l’ho mai aiutato nel lavoro. Mia madre era con me e anche lui ora ha capito. Per noi vale molto il farcela da soli, senza aiuti».

È mai stato in psicoterapia?

«Ne ho provate due. Avevo una colite ulcerosa da stress e attacchi di panico. Ma mi è parso inutile».

Perché soffre di panico?

«In palestra sono svenuto sotto un bilanciere da cento chili: di lì ho iniziato a soffrirne. Ne ho parlato in una seduta, e ho avuto un attacco anche lì. La terapeuta non sapeva che fare».

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