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Bertolucci: «Panatta? Un rompicoglioni terribile. Ma se hai bisogno, lui c’è»

A La Stampa: «Sbagliava lui ed era colpa mia. Ci siamo conosciuti bambini a un torneo. Arrivò con maestro e staff, io con mia zia: non fu amore. Gli invidio la sicurezza»

Bertolucci: «Panatta? Un rompicoglioni terribile. Ma se hai bisogno, lui c’è»

Adriano Panatta e Paolo Bertolucci si conoscono da cinquant’anni e da sempre si prendono in giro e si scambiano frecciatine a distanza, oggi anche sui social. Sono legati da un rapporto di amicizia molto particolare. Bertolucci lo racconta in un’intervista a La Stampa.

La vostra prima volta?

«Ad un torneo giovanile a Cesenatico, e mi è stato subito sull’anima. Sa: il pariolino che arriva dal grande circolo, con maestro e clan al seguito. Aveva 12 anni e già si parlava di lui, io 11 e venivo da Forte dei Marmi, uno sconosciuto accompagnato da mia zia perché i miei dovevano lavorare. Poi mi batté anche. Non è stato amore a prima vista».

Quando è scoccata la scintilla?

«È stato un matrimonio combinato, come in India».

Mario Belardinelli convocò loro due, Mario Caimo e Totò Bon a Formia, per il primo college tennistico e mise in camera insieme Bertolunni e Panatta».

Immaginiamo gli scherzi.

«C’erano Ottolina, Ottoz, Mennea, Berruti, il padre di Gigi Buffon. Noi avevamo 15, 16 anni, la sera i grandi facevano irruzione nelle camere e tagliavano i capelli a tutti, si figuri Panatta. Mettevamo gli armadi contro le porte e Adriano dormiva con il coltello sul comodino. Io li avvertii: se gli toccate i capelli, quello vi accoltella sul serio».

Ovviamente nella loro stanza non entrarono mai.

Che cosa non sopportava di Adriano?

«Era un rompicoglioni terribile. Sbagliava lui ed era colpa mia. Le facce, le occhiate come per dire: “guarda con chi mi tocca giocare”. La verità è che io sono riuscito a vincere in doppio nonostante la palla al piede di Panatta».

Un pregio?

«Se hai bisogno, lui c’è. Ho avuto momenti difficili nella vita, a modo suo mi è sempre stato vicino».

Cosa le invidia?

«La capacità di sopportazione».

E lei, cosa invidia ad Adriano?

«La sicurezza. Ne “La Squadra” si racconta di quando perdemmo in doppio con l’Inghilterra perché lui voleva “dare una lezione” a David Lloyd. Roba da vaffanculo negli spogliatoi. Al suo posto avrei tenuto lo sguardo basso, Adriano invece fece uno dei suoi sorrisi: «tranquilli, domani batto Taylor». Poteva sembrare presunzione, ma in quel momento capii che avevamo già vinto».

Vi sentite spesso?

«Sono passati anche mesi senza un messaggio, ad esempio durante la pandemia. Un giorno squilla il telefono: “Che fai?”. “Sto in casa, come tutti”. “Io mi rompo le scatole. Cosa potremmo fare? Cuciniamo qualcosa, dai”. Lui a Treviso, io a Verona, capisce? Al telefono. Bisogna prenderlo com’è».

Però in cucina è bravo.

«Sì ma sembra un chirurgo: “Passami l’olio, passami il sale”. Non muove un passo. E io faccio da sguattero».

Come passa le giornate Panatta?

«Quasi tutti i weekend è a Cortina. Me lo immagino che va per i boschi, con il bastone, a cercare funghi»-

Chi sta invecchiando peggio?

«Non c’è gara. Io esco tutte le sere, vado alle feste, in discoteca. Gli mando dei video e mi risponde: “Guarda con chi sono riuscito a vincere delle partite”. Un vecchio»

Cos’è l’amicizia?

«Non è la frequentazione, quella viene per caso, per opportunità. È fare una telefonata e sapere che l’altro arriva, non importa se sta a 100 metri o 500 chilometri».

Non farete più coppia in campo?

«Le racconto le ultime due. La prima per un doppio per beneficenza, con la moglie di Ancelotti e una ex modella. La moglie di Carlo dice: “Io gioco con Panatta”. Ovviamente abbiamo vinto io e la ex modella. A rete, la signora Ancelotti mi fa: “L’anno prossimo gioco con te”. L’aveva già scaricato…».

La seconda?

«Doppio vecchie glorie a Parigi. La sera prima usciamo, facciamo tardi. La mattina dopo arriviamo al Roland Garros e ci sono i nostri avversari che si stavano allenando da un’ora e mezza. “Qui si mette male”, gli dico. Pensavo di essere lì per divertirmi, ci hanno rovinato. No, capitolo chiuso».

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