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«Dear Chelsea», la lettera d’addio strappalacrime di Rudiger, dalla panchina al tetto d’Europa

«Gli allenatori dovrebbero imparare da Tuchel. Quando arrivò non mi parlò di tattica, mi chiese di parlargli di me come persona, della mia fame»

«Dear Chelsea», la lettera d’addio strappalacrime di Rudiger, dalla panchina al tetto d’Europa
Madrid 12/04/2022 - Champions League / Real Madrid-Chelsea / foto Imago/Image Sport nella foto: Antonio Rudiger

Toni Rudiger saluta il Chelsea direzione Real Madrid e lo fa a modo suo, con una lettera strappalacrime pubblicata su The Players’ Tribune.

«Non mi piacciono gli addii – scrive – Ma cercherò di renderlo speciale, con il cuore»

Prima dei saluti, Rudiger racconta una storia. Riguarda la sua «African side» e la finale di Champions League. È il suo elogio a Kanté, un suo compagno in tutti questi anni.

«Prima di venire al Chelsea, avevo sentito tante belle storie su di lui. Tutti dicono che sorride sempre. Dicono che guida ancora una vecchia Mini Cooper. Dicono che non alza mai la voce. Ma sai come va nel calcio, vero? Nessuno è davvero così. C’è troppa pressione, troppa delusione. Siamo tutti umani. Nessuno è così figo tutto il tempo. È impossibile. Ogni volta che provavo a parlare con N’Golo mi guardava e annuiva, come se pensasse che tutto quello che dicevo fosse davvero interessante. E poi… Non so proprio come spiegarlo sulla carta. Bisognerebbe sentirlo. Ogni volta che parlo, lui fa *click, click, click* con la bocca.  Vedi, nella sobborgo dove è cresciuto, a Parigi, fanno sempre questo suono con la bocca. In gergo, vuol dire “sì, ok, fantastico”. Vengo da un quartiere simile, in Germania, ma non avevo mai sentito niente del genere in vita mia. Per tutto il tempo, ho pensato che mi stesse prendendo in giro! Tutto quello che si dice di Kanté è vero, autentico. Anche la Mini Cooper: la gente ne ride, ma c’è una vera storia dietro. Era un sogno per N’Golo arrivare in Premier League, e la Mini è stata la prima auto che ha comprato quando è arrivato in Inghilterra. Quindi per lui non è solo un’auto, ha un significato profondo. Hai voglia di invitarlo a comprare una Mercedes, verrà all’allenamento con la Mini per i prossimi dieci anni. Ci sono persone umili, persone umilissime, e poi c’è Kanté»

Rudiger scrive che al Chelsea ha vinto tanto, ma quello che ha reso la sua esperienza londinese sono le amicizie. Come quella con Kanté, ma anche con Lukaku e Kovacic. La Champions League, ovviamente, l’emozione più grande. Un’emozione che, almeno in parte, Rudiger deve a Tuchel.

«Quella è stata una stagione pazzesca per me. Non vorrei dire “pazza”, ma quale altra parola potrei usare? Nemmeno sei mesi prima di quella finale ero a terra. Ero stato escluso dalla squadra e non riuscivo nemmeno a capire perché. Un giorno abbiamo fatto una riunione e l’allenatore mi ha detto che avevamo una rosa numerosa e che preferiva gli altri a me. Boom. Dopodiché, ci sono state molte voci. Ricevevo molte offese sui social media. È stato il periodo più difficile della mia carriera e sono rimasto in silenzio perché non volevo creare problemi al club.Ma quando hai fame, niente è impossibile. Sono quelli che muoiono di fame, quelli che non hanno niente da perdere, i più pericolosi. Quando è arrivato Tuchel e mi ha dato una possibilità, è cominciata una nuova vita per me. In realtà, ha fatto subito qualcosa da cui penso che molti manager potrebbero imparare. Una cosa aveva niente a che fare con la tattica. Venne da me e mi disse: “Toni, parlami di te”.Voleva sapere da dove provenissero la mia aggressività e fame, e gli ho raccontato di essere cresciuto a Berlino-Neukölln e di come giocavo così duramente sui campi di cemento, perché tutti i ragazzi più grandi iniziarono a chiamarmi “Rambo”. Ha chiesto di me, come persona. È grande. Quando Tuchel mi ha dato una possibilità, avevo così tanta motivazione che non sarei mai tornato in panchina. Avevo deciso che avrei dato il 200% per questo club, nonostante tutto ciò che era stato detto su di me. Per me, dopo tutto quello che ho sopportato, la Champions è stata la ciliegina sulla torta»

Il racconto è emozionante.

«Da dove vengo, la pressione non c’entra niente con il calcio. La pressione è non sapere cosa mangerai domani. Ogni volta che sento la minima pressione quando mi allaccio le scarpe prima di una partita di calcio, penso a un ricordo ben preciso della mia infanzia e mi sento subito in pace. La prima volta che sono tornato in Sierra Leone con i miei genitori dopo la guerra civile, stavamo prendendo un taxi dall’aeroporto e siamo rimasti bloccati nel traffico. Eravamo seduti lì, fermi, e io guardavo fuori dalla finestr la povertà e la fame. Tutti questi uomini e donne che vendevano frutta, acqua e vestiti sul ciglio della strada alle persone provenienti dall’aeroporto. E quello è il momento in cui ho capito perché i miei genitori non avevano mai chiamato il nostro quartiere di Berlino “il ghetto”. Avevano sempre detto che era il paradiso in terra. E solo quando sono andato in Sierra Leone ho finalmente capito il loro punto di vista. Quindi, ad essere sincero, ho dormito come un bambino prima della finale di Champions League e quando mi sono svegliato mi sono sentito invincibile. Con la mia famiglia alle spalle e con il cibo sulla mia tavola, non posso perdere»

Il saluto.

«Ho passato di tutto nella vita: povertà, discriminazione, offese, persone che dubitavano di me, persone che mi prendevano come capro espiatorio. Dalla panchina alla vittoria della Champions League in pochi mesi. Venendo da dove vengo, significa solo un po’ di più per me. Ma basta guardarsi intorno, nello spogliatoio, per rendersi conto che tanti di quei ragazzi provenivano da background simili. Lascio questo club con il cuore pesante. Ha significato tutto per me. Anche questa stagione, con tutte le complicazioni, è stata divertente. Il calcio è calcio. Siamo fortunati a giocare a un gioco per vivere che giocheremmo comunque gratuitamente. Infatti, quando si vociferava delle restrizioni finanziarie, ridevamo tutti di dover prendere un autobus o un aereo più piccolo o altro per le partite. Voglio dire, un piccolo aereo. Dai. Sai da dove vengo? Un piccolo aereo è ancora un privilegio. Onestamente, un autobus per Manchester sembrava fantastico. Io e i ragazzi l’avremmo reso divertente, di sicuro»

Le vicende contrattuali non cambiano i suoi setnimenti per i Blues.

«Sfortunatamente, le mie trattative contrattuali erano diventate difficili lo scorso autunno. Gli affari sono affari, ma quando non si hanno notizie dal club da agosto a gennaio la situazione si complica. Dopo la prima offerta, nulla. Non siamo robot, sai? Non puoi aspettare mesi con così tanta incertezza sul tuo futuro. Alla fine altri grandi club hanno mostrato interesse e ho dovuto prendere una decisione. Affari a parte, non ho niente di negativo da dire su questo club. Il Chelsea sarà sempre nel mio cuore. Londra sarà sempre la mia casa. Sono venuto qui da solo e ora ho una moglie e due bellissimi bambini. Ho anche un nuovo fratello a vita di nome Kova. Ho vinto una FA Cup, una Europa League e  unaChampions League. E, naturalmente, ho centinaia di ricordi che rimarranno con me per sempre. Voglio ricordare anche un episodio del 2019, però. Il City vinse 6-0 all’Etihad. Ad essere onesti, ci hanno distrutto. È stato imbarazzante. Dopo il fischio finale, mi sono avvicinato ai tifosi del Chelsea per alzare le mani e scusarmi. Mentre mi avvicinavo, mi aspettavo che fischiassero. Ma erano tutti in piedi ad applaudire. Anche in un momento così brutto, ci hanno dato manforte. Un ragazzo iniziò ad urlarmi insulti, lo invitai a venire in campo, a parlare. E allora s’è scusato. È stato così travolgente che anche l’idiota iniziò ad applaudire. È merito degli altri tifosi. Non lo dimenticherò mai. Mai. C’è odio nel mondo del calcio, di sicuro. Questo è un fatto. Ho vissuto il peggio. Ma c’è anche molta gioia. Al Chelsea ho sperimentato entrambi gli estremi. Sì, ho sentito le offese. Ma ho anche sentito l’amore. Alla fine della giornata, la luce era più forte delle tenebre. Per questo, sarò sempre tifoso del Chelsea»

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