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Teo Teocoli: «Mio padre mi ha insegnato solo a parare i colpi, era manesco. A Milano mi chiamavano Africa»

Al CorSera: «A Saint Tropez conobbi Gianni Agnelli, mi chiese se a Niguarda si sciava. Celentano non lo sento da due anni, lui e la Mori sono ipocondriaci»

Teo Teocoli: «Mio padre mi ha insegnato solo a parare i colpi, era manesco. A Milano mi chiamavano Africa»
archivio Image / Spettacolo / Teo Teocoli-Adriano Celentano / foto Clemente Marmorino/Image

Sul Corriere della Sera una lunga intervista a Teo Teocoli, cantante, cabarettista, imitatore, regista e attore. Da sempre appassionato di sport, è un grande tifoso del Milan.

Dice che i suoi genitori non gli hanno insegnato niente.

«Mia mamma era figlia di giostrai, mio nonno e mia nonna li ho visti solo una volta, li ho conosciuti un pomeriggio in due ore, e poi non li ho più visti, non so nemmeno se sono morti. Mio padre mi ha insegnato solo a parare i colpi perché era un po’ manesco. A quei tempi i ceffoni volavano, non come adesso; le pappine arrivavano in qualsiasi punto. Una volta sul tram mi diede una sberla sul coppino così forte che gelò l’aria, tutti zitti fino al capolinea a Niguarda. Era marinaio e credo che la guerra lo abbia rovinato: era troppo incazzoso, non voleva lavorare sotto padrone ma non aveva nemmeno la quinta elementare, cosa poteva fare? Nessuno poteva aiutarmi, abitavamo dietro l’Ospedale Maggiore, tra prati e canali di irrigazione limpidissimi dove facevamo il bagno».

È cresciuto nella periferia di Milano ma negli anni ’60 e ’70 ha frequentato i vip che giravano a Saint-Tropez. Era fidanzato con la segretaria di Brigitte Bardot.

«Lei non capiva perché fossi sempre lì, mi guarda e dice: Come mai tutti sono in giro e tu sei qua? Teò, sfigatò».

A Saint-Tropez conobbe Gianni Agnelli.

«Teo sei greco? No, italiano. Dove vivi? A Niguarda. Ma si scia da quelle parti? No, ma da Cusano Milanino si vedono le montagne. Andammo a cena con lui nel ristorante più caro di Saint-Tropez, mangiare costava come una 500, simulai una raffinata e signorile inappetenza. Temevo il conto, ma ero ingenuo: se c’è Agnelli al tavolo mica si fanno le quote».

Nato a Taranto, ha vissuto a Reggio Calabria, poi è approdato a Milano, dove era considerato un terrone.

«All’epoca manco sapevano dove era Reggio Calabria, ci volevano due giorni per arrivarci con la Freccia del Sud che si fermava anche dal benzinaio. Erano dei treni che oggi sarebbero di lusso con il vellutino, gli scompartimenti, la retina per i bagagli: quando ero piccolo mi mettevano lì a dormire, a Paola si tiravano giù i finestrini e finalmente si respirava. A Reggio parlavo con il mio accento milanese e sembravo un tedesco; a Milano vivevamo una vita agra, abitavamo in uno scantinato, una specie di box, non avevo niente. Mio padre era in giro a cercare lavoro o qualcos’altro; mia madre faceva la sartina e la trattavano abbastanza male; la gente mi chiamava Africa, terùn, andalù. Il cartello Non si affitta ai meridionali era in bella vista».

A fine anni Sessanta è stato protagonista di «Hair», con Renato Zero e Loredana Bertè.

«Loredana era già incazzosa all’epoca, quando le chiesi il nome, mise subito le cose in chiaro: saranno cazzi mia. Non pensavo sarebbe diventata famosa, perché era intonata ma non aveva una voce particolare. Renatino invece già scriveva dieci canzoni al giorno, bisognava chiuderlo nel camerino per farlo azzittire, così se le suonava da solo. All’epoca ero già amico di Adriano Celentano e fu lui a farmi fare Hair, perché tutte le cose che gli proponevano, le girava a me, diceva sempre: fatele fare al Teo».

Sempre su Celentano:

«L’ho aspettato sotto casa sua a 14 anni, pensavo si chiamasse Cedentano con la d, aveva già fatto successo, la somiglianza era nella faccia da terrone che avevamo tutti e due. Per 20 anni il 6 gennaio abbiamo sempre festeggiato il suo compleanno con canzoni, scherzi, scemate di tutti i colori. Ho fatto anche una fuga d’amore con loro due, lui e Claudia Mori, e poi c’eravamo io e Miki Del Prete: siamo stati a Madonna di Campiglio in albergo un mese. Non so cosa c’entravamo noi, ma lui da solo senza gli amici si rompeva. Da due anni non ci sentiamo più, loro hanno paura anche di una zanzara, sono ipocondriaci, paurosi, non prendono l’aereo, la nave, nemmeno l’ascensore».

Al cabaret arrivò grazie a Enzo Jannacci.

«Frequentavo il Santa Tecla dove facevano jazz e ballo, lì c’era un pianista che si chiamava Enzo Jannacci, mi disse qualcosa di incomprensibile, non si capiva niente di quello che diceva perché biascicava. Fu lui a farmi conoscere il Derby e mi volle per il suo primo spettacolo, Saltimbanchi si muore, dove c’erano anche Cochi e Renato, Lino Toffolo. Il giorno del debutto — era la domenica pomeriggio — non rinunciai ad andare a vedere il Milan; arrivai con la radio in mano, la sciarpa e il cappello del Milan. Salii sul palco così e la gente rideva perché pensava fosse una gag».

Prima spalla della Gialappa, diventò protagonista a Mai dire gol.

«Guadagnavo 3 milioni a puntata, c’era anche Gene Gnocchi che poi l’anno dopo non volle più esserci e non ho mai capito perché. Con Caccamo, Peo Pericoli e Vettorello coprivo quasi tutta l’Italia sportiva».

Racconta come nacque Caccamo:

«L’abbigliamento me lo aveva ispirato Necco, il giornalista di 90° minuto. La parlata mi veniva da quell’anno e mezzo a Napoli dagli zii, avevo preso l’umore della città, i gagà parlavano così, li sentivi dire: Qua non succede mai niente, me ne vado da questa città. E dove vai? A Capri… Vidi quella giacca azzurra, era perfetta, ma strettissima. Anche quello fece gioco. Il regista poi sbagliò e bucò la cravatta, fu un errore geniale».

Passa per uno con un brutto carattere.

«Lo dicono tutti. Un tempo mi incazzavo molto spesso. Penso di essere il re del dettaglio e quindi invece di ragionare strillo subito».

Racconta alcuni suoi litigi.

«Con Fatma Ruffini mi incazzavo molto quando tagliava i miei sketch: ma siamo matti, tu non tocchi la roba che faccio io, cosa puoi fare di meglio? Con la Gialappa mi sono incazzato perché continuavano a chiamare artisti di sinistra: troppi. Anche con Boldi, ma lui si spaventava e non reagiva. Gino e Michele dicono di me che un momento mi ammazzeresti e un altro mi adori. Il cambio di personalità e atteggiamento è qualcosa che forse mi ha lasciato mio padre».

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