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Gli attaccanti esterni del Napoli non segnano

Si parla sempre di carattere e personalità ma forse ha ragione Allegri: nel calcio ci vuole organizzazione difensiva e poi tocca ai calciatori offensivi (di talento) risolvere le partite. Quelli del Napoli, quest’anno, non lo fanno

Gli attaccanti esterni del Napoli non segnano
Napoli 11/09/2021 - campionato di calcio serie A / Napoli-Juventus / foto Insidefoto/Image Sport nella foto: esultanza gol Matteo Politano

Una volta, qualche tempo fa, il tanto bistrattato Massimiliano Allegri sostenne l’idea che «il calcio è un gioco stupido per persone intelligenti». Si riferiva alla necessità di costruire calciatori pensanti, capaci col pensiero (prima ancora che con l’azione) di decidere i risultati delle partite, che – di per sé – non sono strambi artifizi complessi. D’altronde, sostiene il livornese, nel pallone, un gioco semplice semplice, bisogna fare essenzialmente due cose: organizzarsi per subire il meno possibile l’iniziativa degli avversari e pensare per bene la fase offensiva, orientandola a scelte giuste, corrette. In un celebre scontro con Adani, Allegri aggiunse che «nel basket a 5 secondi dalla fine dell’azione si passa la palla al più bravo e si manda al tiro. Così funziona anche nel calcio: la differenza la fanno i giocatori, non gli schemi».

Non era il post-partita di Lazio-Napoli, eppure è esattamente quello che è successo qualche giorno fa: il Napoli, bloccato in un pareggio tutto sommato giusto in quel di Roma, ha messo Fabian Ruiz – il più bravo in quello che nel basket si chiama tiro da tre punti – nella condizione di decidere il risultato. Fabian, che è un calciatore molto forte, l’ha deciso. E d’improvviso non s’è parlato più tanto di schemi e di tattiche. S’è parlato, al contrario, di grande forza mentale, di grande cuore. Sommessamente sarebbe utile far notare che Fabian, con quel gesto tecnico straordinario, non ha dimostrato tutta la sua “forza mentale”. Né ha svelato il suo grande cuore. Piuttosto, ha ribadito di avere un raffinato sinistro, di essere fenomenale in quel preciso fondamentale che è il tiro da fuori. Non è sicuro, per chi scrive, che la “forza mentale” esista, non c’è neanche un modo per misurarla. Invece esistono sicuramente i calciatori bravi ed esiste la capacità della squadra di metterli in condizione di incidere. All’Olimpico è successo e il Napoli è stato bravo a farlo succedere. Ieri, come tante altre volte, no. Ed è su questo, più che sul resto, che forse vale davvero la pena d’interrogarsi più seriamente.

Questo perché anche dopo la sconfitta interna col Milan s’è finiti a parlare di carattere e di personalità. S’è fatto nel senso opposto a pochi giorni prima, ovviamente. Sciorinando la solita manfrina del Napoli che «viene meno nei momenti decisivi». Pare la spiegazione ultima d’ogni male, l’unica risposta possibile quando i risultati attesi (e più o meno pretesi) non arrivano. I calciatori vengono accusati di «non avere le palle», all’eccessiva esaltazione si sostituisce la depressione e poi si ricomincia di nuovo da capo fino alla prossima occasione mancata. Ecco: non basta. Non basta più. Fermarsi qui produrrebbe un’analisi monca. Anche perché non è vero che il Napoli ha fallito tutti gli appuntamenti più o meno importanti della stagione per una qualche mancanza caratteriale. Oltre al fatto che basta guardare al campo per rendersi conto che i motivi della disfatta di ieri sera col Milan stanno da un’altra parte. E per paradosso possono essere ricavati proprio dalla vittoriosa trasferta all’Olimpico e dalle parole di Allegri: il calcio è semplice, ci vuole organizzazione difensiva e poi le partite le decidono i calciatori forti – in particolare gli attaccanti – che devono essere messi in condizione di farlo. Sono loro, i giocatori, che fanno la differenza. Ed attualmente, nonostante l’organizzazione difensiva serissima del Napoli di Spalletti (comprovata da tutti i numeri), i calciatori forti degli azzurri – gli attaccanti del Napoli – le partite non le decidono, non fanno la differenza. O, almeno, lo fanno con meno frequenza di quanto dovrebbero. È questo, altro che carattere, a causare i risultati altalenanti.

Con la buona pace di Osimhen, che come scrive Mario Piccirillo «fa reparto da solo», e del buon vecchio Mertens che quando è stato chiamato in causa ha segnato i suoi soliti gol pesanti (nove in stagione), lo score degli attaccanti del Napoli è deprimente. Insigne, il capitano della squadra, il dieci della Nazionale, “il calciatore italiano più classoso tra quelli in attività“, ha fatto un solo gol su azione in ventotto partite di campionato. Uno. Politano, la cui mancata convocazione all’Europeo è stata vissuta manco Mancini stesse ignorando Baggio, ha esattamente gli stessi numeri. Ha fatto gol una sola volta, contro la Juve. Un tap-in su un’incertezza di Szczesny. Senza quella papera sarebbe a zero. Lo stesso Lozano – uno che ha la (legittima) ambizione di giocare in squadre più prestigiose del Napoli – ha fatto quattro gol in campionato. S’è distinto solo per la doppietta al Bologna prima che s’infortunasse (di nuovo). Ounas ha avuto mille difficoltà, ma in campionato non ha mai segnato. Zielinski (che viene utilizzato da sottopunta) è in uno di quei momenti in cui, al ventesimo, viene da chiedersi se sia in campo o menoPetagna è allergico alla rete. Ha fatto due gol pesanti alle genovesi, ma non è uno di quei calciatori che può risolvere il problema. Elmas è un tuttofare. Non può essere annoverato tra gli attaccanti.

L’impressione è che il Napoli più recente conosca essenzialmente solo due modi per segnare: palla a Osimhen e si prega (che la butti dentro, magari di testa, o che si conquisti un calcio piazzato, magari un rigore) o stoccata dal limite di Fabian, il tiratore scelto. Per il resto, sulla tre-quarti si fanno tanti ghirigori ma ci si mette poca sostanza. Non c’è l’attitudine a segnare, a determinare, a creare situazioni decisive, a cambiare il corso della storia. Nel Milan, che è una squadra essenzialmente modesta (l’ha dimostrato anche ieri) questo quid plus però c’è. C’è nelle zampate di Giroud, nella sua capacità di mettersi al posto giusto nel momento giusto. C’è nelle sgroppate di Leao che da solo ha fatto più gol di Insigne, Politano e Lozano messi insieme.

Ecco, allora, che Allegri forse tutti i torti non ce l’aveva: il calcio è semplice, ci vuole organizzazione difensiva e poi la differenza la fanno i giocatori offensivi, che devono fare gol. Poche chiacchiere. Saranno stati gli infortuni, che a turno hanno reso la vita complicata a tutte le ali del Napoli. Sarà un fatto di condizione atletica, sarà un fatto tattico, sarà un fatto tecnico, sarà che non vengono messi opportunamente nelle condizioni di cambiare i risultati, ma quest’anno la differenza tra i calciatori offensivi a disposizione di Spalletti non la fa nessuno, meno che – a turno – Osimhen e Mertens.

I numeri del girone d’andata erano preoccupanti. Lanciammo l’allarme, con la speranza di essere smentiti. Il girone di ritorno sta confermando una tendenza che potrebbe addirittura essere definita imbarazzante.

Per Spalletti potrebbe essere arrivato il momento di correre ai ripari, sperimentando soluzioni diverse, dando più minuti a chi fin qui ha avuto meno spazio, rinunciando a qualche certezza per scommettere su un cambiamento. Anche perché il campionato, a dispetto di quanto si respira a Napoli, non finiva ieri. Ci sono, per ogni squadra, trenta punti a disposizione. Che possono ribaltare qualsiasi pronostico.

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