Cominciano i Giochi di Pechino, il NYT racconta il mondo del “terrore” degli atleti che rischiano la vita: “La paura ti blocca il corpo, ti frena e volte ti salva”

L’ultima caduta di Sofia Goggia, vista in tv, è stata spaventosa. E come quella mille altre, cui lo spettatore sul divano assiste spesso coi brividi, mentre quelli, i discesisti si fiondano giù nel ghiaccio a 140 all’ora. O i freestyler, sugli sci o nel pipe dello snowboard, piroettano a metri d’altezza tornando giù quasi sempre sui piedi. Ché se sbagliano, e ci vanno di testa, che fine fanno? Ora che per due settimane le Olimpiadi invernali ritrasmetteranno al pubblico quelle evoluzioni il New York Times ci ricorda che quello è un mondo fatto di paura, terrore, altroché. Raccontando storie di atleti e allenatori, e confessioni. In un altro pezzo dedicandosi in particolare agli snowboarder.
“Non sono pazzi. Non sono avventati. Hanno una cosa in comune che potrebbe sorprendere quelli di noi che guardano. In breve: sì, hanno paura. Ma è più complesso di così”. E non c’è verso, prima o poi si faranno male. Tutti. Solo che “non c’è un buon momento per farsi male. C’è un momento peggiore”: il momento-Goggia. Un attimo prima che comincino le Olimpiadi.
Una delle più spettacolari e pericolose è l’Aerials: “Gli atleti si lanciano quasi dritti in aria per eseguire figure e capriole. Atterrano così duramente che a volte sputano sangue. La paura di un infortunio è un peso invisibile sulle spalle degli atleti. Provoca notti insonni. Alimenta ore di preparazione. Suscita panico da vomitare al cancello di partenza”.
L’americano Erik Arvidsson racconta che “ci sono state volte in cui le gare vengono cancellate e io mi sono sentito totalmente sollevato. Perché ero spaventato a morte e avevo bisogno di un giorno in più per riprendermi”.
Michael Dammert è l’allenatore di snowboard freestyle della Nazionale tedesca. Ha un Master in psicologia dello sport. Definisce la paura “il tuo migliore amico e il tuo più grande nemico, va in certe aree precise del cervello, nell’amigdala, negli strati più profondi. Ecco il motivo per cui è così difficile da controllare. Può limitare i migliori atleti, ma potrebbe anche salvarli”.
E la paura non è solo una questione mentale. Se il tennis ha il “braccino” sulla neve prende male tutto il corpo. Quando arriva la paura, racconta il discesista Aleksander Aamodt Kilde “senti una specie di dolore alle gambe, alle ginocchia, senti come se perdessi il controllo sul tuo corpo. Vuoi spingere al 100 percento, ma la mente ti trattiene. Riesci a spingere solo all’ottantacinque, al novanta per cento. Capisci che qualcosa non va”.