Favero, l’operaio-contadino che bloccò Maradona: «Il Trap mi disse “se gli arriva la palla è finita”»

Intervista al Gazzettino. In A con l'Avellino, vinse tutto con la Juve. "Ma non ho mai superato il dolore dell'Heysel"

Favero

Luciano Favero oggi fa il pensionato del pallone, grazie ai contributi accumulati dal primo contratto, quando aveva 16 anni. Era “Il Baffo”, ma è anche passato alla storia come “L’operaio che blocca Maradona”. Una decina di stagioni in serie A tra Avellino, Juventus e Verona, a Torino ha vinto praticamente tutto: uno scudet­to, una Coppa dei Campioni, una Coppa Intercontinentale, una Supercoppa Europea e una Coppa Uefa. La sua è una storia da calcio romantico. Il Gazzettino l’ha intervistato.

“Ero uno dei sei figli di Corrado e Bianca che avevano una mezza­dria nelle campagne di Santa Ma­ria di Sala. Io non avevo tanta vo­glia di studiare, vedevo sempre e solo il pallone, a volte non torna­vo neanche a casa per fermarmi a giocare. Papà veniva a cercarmi perché aveva bisogno di aiuto in campagna, non sempre mi pren­deva con le buone. Dopo la terza media ho incominciato a lavora­re come metalmeccanico in una fabbrica del Miranese e giocavo in Terza Categoria nella Fenice Caselle da dove a 15 anni mi ha prelevato il Noale che era in Pro­mozione. Al termine di quel cam­pionato mi ha chiesto il Varese, in serie B, e a quel punto è iniziata davvero la mia carriera”.

Favero esordì in Serie A col Napoli, con l’Avellino:

“Era il 22 marzo 1981, finì 0-0: aveva un senso particolare, era il primo derby do­po il terremoto dell’autunno che aveva distrutto la Campania. Per me era già un sogno essere arriva­to in serie A, con gli irpini ho fatto tre anni eccezionali, l’allenatore era Vinicio, un uomo al quale de­vo molto”.

Il salto vincente alla Juve di Boniperti e Trapattoni, metà anni 80:

“Con la Juve ho giocato più di 200 partite e per tre anni di fila non ho saltato una gara. Ho vinto tut­to, ho pure fatto due gol che per me erano una rarità: uno a Udine nel 1985, l’altro a Torino contro il Pescara nel 1987. Quando abbia­mo vinto l’intercontinentale a To­kyo contro l’Argentinos Junior, ai rigori dopo i tempi regolamenta­ri finiti 2-2, per me è stata una soddisfazione enorme, ero arriva­to fin lì ed era qualcosa che non mi sarei mai aspettato. Il figlio di contadini che vinceva il titolo mondiale per club. Sono arrivato alla Juve nel 1984, Boniperti e Trapattoni cercavano un sostituto di Gentile andato al­la Fiorentina e già questo bastava per bloccarmi. I primi mesi sono stati duri, ma ancora una volta la mia carriera si è incrociata col Napoli e il Trap mi mette in mar­catura proprio su Maradona!”.

“È stata la mia partita più bella. Maradona era uno che se gli arri­vava la palla non c’era più nulla da fare, Trapattoni aveva spiega­to bene che bisognava non far ar­rivare la palla a Diego. Forse si ri­cordava della volta che lui aveva fermato Pelé. Poteva capitare a volte di riuscire a fermare Mara­dona e mi è riuscito”.

Favero ricorda anche la terribile notte dell’Heysel.

“Per me è stata terribile. Noi quando siamo scesi in campo con un’ora di ritar­do non sapevamo che c’erano morti, ci avevano detto che era ca­duto un muro, che la folla si agita­va, che era meglio incominciare a giocare per calmare gli animi. E forse è stato un bene continuare. Quella Coppa dei campioni per noi è come se non ci fosse. Ogni volta che devo parlarne sento un dolore profondo. Troppa follia“.

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