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Vladimir Luxuria: «A scuola mi scrivevano “ricchione” sui libri e mi facevano pipì nelle scarpe»

Al CorSera: «A 17 anni un gruppo di ragazzi mi ha anche inseguito con le spranghe. Vengo da una famiglia del Sud, ho avuto un’educazione rigorosamente maschile»

Vladimir Luxuria: «A scuola mi scrivevano “ricchione” sui libri e mi facevano pipì nelle scarpe»
Db Milano 22/05/2018 - Diversity Media Awards 2018 / foto Daniele Buffa/Image nella foto: Vladimir Luxuria

Il Corriere della Sera intervista Vladimir Luxuria, all’anagrafe Wladimiro Guagliano. Scrittrice, personaggio tv,
opinionista, attrice, cantante, drammaturga e direttrice artistica. Racconta si essersi sempre sentita donna.

«Da quando ho cominciato a camminare».

E parla della sua famiglia.

«Vengo da una famiglia tradizionale del Sud, sono il primogenito di tre sorelle e un fratello. Ho avuto un’educazione rigorosamente maschile. Avevo il fiocchetto azzurro. A carnevale mi vestivano da sceriffo. Ho subito capito che ero un bambino diverso dai miei cugini, dai miei compagni di scuola. I vestiti da maschio li sentivo addosso come una camicia di forza. Invidiavo mia sorella Laura che poteva tirare i coriandoli vestita da spagnola»

A sedici anni ha deciso di seguire la sua inclinazione e di diventare davvero se stessa. Dei genitori dice:

«Non mi hanno mai picchiata né cacciata di casa, come è successo ad alcune mie amiche trans. Però prima che arrivassero a stare dalla mia parte è passato parecchio tempo. Ora è fantastico, sono diventati anche dei militanti».

Il padre soprattutto la prese male, ma all’inizio non si accorsero di niente.

«Forse non volevano accorgersene. Quando ero ragazzina io uscivo di casa con i vestiti di mia sorella dentro una busta di plastica e mi cambiavo dentro i bar o nelle cabine del telefono. Hanno dovuto cominciare a farsi delle domande quando alla vigilia di Natale mi hanno visto arrivare alla cena con le sopracciglia rifatte. Avevo delle sopracciglia molto cispose. Non proprio come quelle di Frida Kahlo o di Ciampi, ma quella sera lo zio Antonio mi puntò il dito contro come una baionetta: “Hai le sopracciglia come le femmine”».

Racconta di essere stata bullizzata.

«Erano tempi durissimi, sono nata a metà degli anni Sessanta. A scuola mi scrivevano “ricchione” sui libri. Mi facevano la pipì nelle scarpe quando me le toglievo per cambiarmele con quelle da ginnastica. Mi davano spinte, mi tiravano oggetti. Quando avevo diciassette anni un gruppo di ragazzi mi ha anche inseguito con le spranghe. Ma mai ho avuto così tanta paura come una sera a Praga. Avevo ventiquattro anni e sembravo una donna ormai».

Racconta l’episodio: era in un locale e aveva bevuto un po’, un tizio iniziò a corteggiarla e lei gli diede spago, fino a finire insieme in una camera d’albergo.

«Quando lui ha capito che non avevo la vagina l’ho visto trasformarsi in un assassino. Mi ha sferrato un pugno che ha provocato una crepa nel muro. Se non mi fossi spostata sarei morta».

Racconta di non essersi mai drogata, come tante sue amiche del tempo, alle prese con gli stessi turbamenti esistenziali, ma di essersi prostituita.

«Sì, per un breve periodo. Ma non lo facevo per soldi. Era una sorta di vendetta. O forse di riscatto. Non lo so dire».

Parla anche del decreto Zan.

«Adesso non basta dire che la società civile è fortunatamente molto più avanti della politica. È lo stesso Parlamento ad essere andato molto indietro, di tanti anni. Mi riferisco alla legge 164 del1982. Con quella norma si accettava che le persone transessuali operate ai genitali potevano essere riconosciute legalmente. È stata una democristiana come Rosa Russo Iervolino che ha dato una grande mano a quella legge. Oggi è sicuramente superata, ma stiamo parlando di quaranta anni fa».

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