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Sky, che disdetta. Il vecchio abbonato al mercato dei call-center in attesa dell’offerta giusta

L’abbonato fedele e pagante, è quello trattato peggio. Chi abbandona, va al mercato delle pulci. Senza trasparenza nei costi, Sky è fuori dal mercato della semplicità di Netflix e Dazn

Sky, che disdetta. Il vecchio abbonato al mercato dei call-center in attesa dell’offerta giusta

C’è un calciomercato parallelo per lo spettatore del pallone italiano. Un suk fatto di offerte a geometria variabile, operatori più o meno informati, fantomatiche “scontistiche dedicate”. E costi scritti in fattura con l’inchiostro simpatico, in un’algebra irrisolubile di tanti + e qualche -, che manda al manicomio il cliente Sky. Uno dei tanti, tantissimi, che ha passato l’estate a meditare disdetta, per affrontare l’ulteriore offerta tv della Serie A. Dazn, Tim, altri decoder, fibre ultraperformanti, la rete che tutto può e molto pretende. Sul satellite – un altro mondo – è rimasto il vecchio abbonato, con la parabola sul terrazzo e tanti dubbi alimentati dagli approcci da televendita di pentolame e cambi shimano di Sky.

Alla prova dei fatti parlano i numeri: Sky Italia chiude il 2020 registrando una perdita di 690 milioni di euro, i ricavi sono scesi dell’11,8%, 178 milioni di euro solo dagli abbonamenti residenziali. Anche se il numero totale di abbonati, pur sceso sotto quota 4,8 milioni, non rappresenta un crollo verticale.

Molti traccheggiano, altri si dimenano nel trabucco teso da Sky per trattenere quanti può. Una pesca a strascico con metodi novecenteschi, a tratti imbarazzanti rispetto ad un contesto – i vari Netflix, Dazn, Amazon Prime Video, eccetera – che invece s’è imposto anche per la chiarezza dell’offerta economica unita ad una gestione svincolata e “easy” dei propri abbonamenti. Ti iscrivi, paghi una cifra forfettaria, hai un tot regolato di accessi disponibili, esci quando ti pare. Amen. Persino Now, piattaforma online della stessa Sky, funziona così. Con Sky invece è tutto molto più rarefatto.

Il cliente insoddisfatto fa disdetta (che solo da poco si fa con pochi passaggi online, fino a non molto tempo fa serviva la raccomandata) e si iscrive in un limbo. Sei fuori, ma sei ancora dentro. Una sorta di mese “bianco” in cui vale tutto e il contrario di tutto.

Sky delega ai suoi call center decentralizzati le cosiddette “retention”, le mitragliate di telefonate-esca che provano a convincere il cliente renitente a tornare in sé. Specifici programmi di marketing che si attivano solo a seguito dell’addio ufficializzato. Pacchetti in regalo, per sempre o solo per qualche mese. Sconti sul Cinema o sullo Sport, da specificare. Il povero calcio, ormai depauperato e svalutato, in gentile omaggio come “gli odori” dal fruttivendolo. Ogni cliente ha accesso ad una offerta retention personalizzata, non siamo tutti uguali. Decide un algoritmo, a scatti: più resisti, più ti ostini a rifiutare, più le proposte diventano più convenienti. Con una logica anti-istintiva: l’abbonato fedele, che per anni ha silenziosamente pagato tutto senza mai questionare, viene considerato dal sistema più abbordabile, e quindi per lui le offerte saranno meno ammiccanti di quelle spericolate riservate ad altri profili, più agili e meno fidelizzati.

I più smaliziati surfano sulla porosità del sistema da anni, disdicendo e rifacendo contratti ad oltranza. Per alcuni è quasi una seconda attività, un hobby. Ci sono forum appositi dove quelli bravi espongono le offerte di Sky al ribasso come trofei di caccia.

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Nella ritirata Sky si espone quasi ad una questua, nella speranza di estenuare la clientela. Solo per alcuni, però. Con altri resta fredda, distaccata. Per entrambe le tipologie di bacino risulta una politica sgraziata, antipatica, molesta. Totalmente fuori mercato, peraltro. L’appeal delle nuove piattaforme sta anche nella franchezza, con pochi fronzoli burocratici. Con Sky invece il riepilogo dei costi è sempre un’equazione con decine di variabili.

A chi scrive è capitato, fatturazione alla mano, di dover congetturare con tre diversi operatori (impiegando 45 minuti abbondanti) sulla natura di alcune voci riportate senza peraltro addivenire alla soluzione del mistero. Per l’avventore del 2021 alcune di queste sono davvero naif: Sky si fa pagare come un plus la visione dell’Hd, e – figurarsi – del 4k. Hanno un costo accessorio, come altri “upfront” che vengono conteggiati ad ogni scatto di tecnologia o di listino. Lo stesso pacchetto può costare 20 euro all’inconsapevole abbonato di vecchia data (quelli di Sky lo chiamano affettuosamente “extra”) e 14 al novizio entrato direttamente con un nuovo listino. Stesso prodotto, prezzi diversi. Dici: vabbè, cambia listino allora. Macché: e l’anzianità? E gli una-tantum? La sensazione, per tutti, è che la proposta sia friabile. Chi bazzica il marketing sa che sul lungo periodo l’insicurezza porta alla disaffezione.

Quei 690 milioni di perdite di cui sopra hanno a che fare con logiche macroeconomiche, certo. Ma non sono solo la semplicistica reazione del mercato alla perdita dei diritti tv del volano Serie A. Sky è rimasta ad una concezione del “customer care” da Telecapodistria. Il suo cliente è in fuga verso il presente.

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