ilNapolista

Francesca Neri e la sua malattia: «Ho accarezzato l’idea del suicidio»

L’attrice combatte da anni contro la cistite interstiziale Al CorSera: «Ho passato mesi a giocare a burraco online di notte. Massimo Troisi simile a me». Il rapporto con la madre

Francesca Neri e la sua malattia: «Ho accarezzato l’idea del suicidio»

Il Corriere della Sera intervista Francesca Neri. Il 5 ottobre arriverà in libreria «Come carne viva», la sua autobiografia, edita da Rizzoli. L’attrice si racconta dall’infanzia fino alla battaglia con la malattia cronica che le procura grandi dolori: la cistite interstiziale.

«È durata tre anni la fase acuta, non ne sono fuori, non si guarisce: impari a gestirla e a non provocarla in modo che non sia invalidante. I primi due anni, io che non credo ai social, sono stata in una chat di donne che soffrono questa patologia. Un po’ come gli alcolisti anonimi».

Racconta di quanto sia stato difficile starle vicino, per la sua famiglia, il marito, Claudio Amendola, e il figlio Rocco. Voleva stare da sola.

«Di fatto sono stata via per tre anni, però c’ero, ero lì in casa con loro, ed è la cosa più terribile. Ho accarezzato l’idea del suicidio. Ho passato mesi a giocare a burraco online di notte. Il mio lockdown è durato tre anni. E quando è arrivato per tutti, con la pandemia, sono stata meglio perché condividevo la situazione degli altri».

Parla di Amendola («il mio opposto») e della sua reazione al libro:

«Dice che è al limite della pornografia, gli uomini che l’hanno letto hanno avuto difficoltà, si sono dovuti fermare, tocco cose difficili da affrontare».

La Neri ha provato qualsiasi tipo di cura per una malattia che le rendeva difficile anche il sesso.

«Il sesso? Non ci pensi, ma quando ci pensi è il segno che sei viva. Si inventa un nuovo modo di avere intimità col tuo compagno, ti devi arrangiare».

Nel libro racconta anche la totale anaffettività di sua madre.

«Ho imparato a vivere senza una madre ma con una madre presente. La malattia non l’ha capita, diceva che da giovane anche lei soffriva. Era una donna semplice e umile, senza curiosità, incapace di esprimere sentimenti. Non mi ha mai fatto un complimento in vita sua, mai stretto tra le sue braccia, mai affondato le dita nei miei capelli. Il mio terrore era di diventare come lei».

Ad aiutarla è stata l’analisi, portata avanti per 25 anni. Quando ha lasciato le scene, per via della malattia, il mondo del cinema ha reagito in modo particolare.

«Da una parte c’era incredulità. Le attrici mi chiedevano, ma come hai fatto a staccare? Altri dicevano che ero talmente drogata che non mi reggevo in piedi. I miei amici non fanno parte del cinema. Ma ricordo Massimo Troisi, un poeta della vita e dell’amore che ho riconosciuto simile a me. E Pupi Avati che mi descrisse in poche parole: “Il suo sguardo raro, profondo, di chi conosce la vita. Infatti nel suo sorriso c’è sempre anche il pianto”. Per ricaricare le pile sto per conto mio. Non sono debole, sono fragile, incapace di farmi scivolare le cose, penso troppo, aborro la mediazione. Ma so amare, condividere. Chi non mi conosce dice che sono stravagante, altezzosa, depressa. Io diffido di chi non è stato almeno una volta depresso».

La Neri ha lavorato con Almodóvar e Bigas Luna.

«Le età di Lulù era una sfida con me stessa e con mia madre. Il provino era un monologo e io che mi masturbo con un vibratore. Mia madre non mi parlò per mesi. Io, senza i social, ho subìto insulti, telefonate anonime, stalking… Dopo, in Italia mi hanno vista come un intellettuale e in Spagna come un oggetto del desiderio. Destino tragicomico. In quel film ho imparato a conoscere la mia parte oscura».

Il libro è l’elaborazione di un lutto?

«Di un lutto e di una epifania. Io sto cercando di capire chi sono diventata. Ho trovato me nella solitudine, che non era isolamento; nel silenzio, che non era mutismo. Questa sono io: se critichi il libro vuol dire che non ti piaccio. Ci ho messo la faccia. Il mio ozonoterapista mi ha detto: sei come Sacchi, l’allenatore che nel pieno della carriera scelse di ritirarsi: era troppo coinvolto. Oggi sono libera dalla necessità di compiacere tutti. Sono più pacificata. Non vedo l’ora di andare nelle librerie a parlarne».

ilnapolista © riproduzione riservata