Pioli: «Non vinci con la tattica. Vinci mettendo da parte l’“io” e anteponendo il “noi”»

Al Fatto: «La morte di Astori mi ha fatto capire che i calciatori sono prima di tutto uomini. La tecnica e la tattica contano, ma è più importante la componente mentale»

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foto Hermann

Su Il Fatto Quotidiano, Andrea Scanzi intervista il tecnico del Milan, Stefano Pioli. Il primo pensiero va a Gazidis, che nei giorni scorsi ha annunciato di avere un cancro alla gola, ma che si tratta di un tumore curabile.

«Tutto il Milan fa il tifo per lui. La sua forza è la nostra, siamo orgogliosi di far parte della sua famiglia. Guarirà e non vediamo l’ora di riaverlo con noi».

Parla degli obiettivi della stagione.

«Siamo il Milan e non ci dobbiamo porre limiti. Sarà difficilissimo perché sette squadre lotteranno per quattro posti. Ma gli ostacoli sono troppo alti solo per chi non ha ambizioni abbastanza forti».

Sulla Nazionale vittoriosa ad Euro 2020:

«La chiave del trionfo sono gli occhi dei giocatori che guardavano Mancini e si guardavano tra loro: lo stesso sguardo di Berrettini. Passa tutto da lì. L’Italia ha vinto gli Europei per quegli occhi: per quello spirito di gruppo. Non vinci con la tattica. Vinci mettendo da parte l’ “io” e anteponendo a tutto il “noi”. È in quel modo che hanno vinto. Hanno rappresentato al meglio l’Italia. E abbiamo esultato tutti, perché ci siamo sentiti partecipi di una cosa bella».

In quel gruppo ha rivisto, in piccolo, il suo Milan.

«In piccolo sì. Sento che c’è empatia, forse addirittura un po’ di magia tra noi».

Pioli parla della morte di Astori, il 4 marzo 2018. Era lui sulla panchina della Fiorentina, in quel periodo.

«Sono un allenatore che impronta tutta la sua gestione sul confronto e sul dialogo con i giocatori. Quella tragedia mi ha fatto capire che i calciatori sono anzitutto uomini. Sono dovuto entrare nelle loro teste. A uno a uno ho dovuto raccontargli che il medico, alle 9 del mattino, mi aveva detto che Davide non c’era più. Ho passato tutti i mesi successivi ad aiutarli a elaborare quella scomparsa. In certi momenti devi andare in profondità. Conta la tecnica, conta la tattica, ma è ancora più importante la componente mentale».

Su Baggio, che ha avuto come compagno di squadra.

«Il Roberto che ha giocato con me, stagione ’89/’90, valeva Maradona. Il nostro schema, da difensori, era facilissimo: recuperavamo palla, la passavamo a Dunga che la passava a Roberto e poi andavamo tutti ad abbracciarlo dopo il gol».

Pioli era anche all’Heysel.

«Avevo il piede ingessato, ero in tribuna e vidi i primi scontri sugli spalti. A quel punto ci portarono negli spogliatoi. Ho seguito la partita a fianco della panchina. Le notizie non arrivavano. Credevamo che avrebbero interrotto tutto a fine primo tempo. Alla fine ci dissero di fare il giro d’onore e, quando rientrammo in hotel, pensavamo davvero che quella partita non contasse. Fu una tragedia enorme, di cui non fummo pienamente consapevoli».

Da giocatore aderiresti al Black Lives Matters? Gli chiede Scanzi.

«Sì, mi inginocchierei».

E infine: cosa vorresti che dicessero di te a fine carriera?

«Che ho migliorato molti dei giocatori che ho avuto a mia disposizione».

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