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Micaela Ramazzotti: «Da piccola ero una sfigata. Recitare è stata la mia rivincita interiore»

Al Corriere: «Mi chiamavano surf, zero seno e denti grandi. Sfidavo i professori. Lo psicoterapeuta dovrebbe essere accessibile a tutti, come il medico di base» 

Micaela Ramazzotti: «Da piccola ero una sfigata. Recitare è stata la mia rivincita interiore»

Il Corriere della Sera intervista Micaela Ramazzotti. L’attrice 42enne è sposata con Paolo Virzì. E’ la protagonista del film di Stefano Chiantini «Naufragi», in uscita su varie piattaforme e su Sky. Ha vinto un David di Donatello, 4 Nastri d’Argento e 2 Ciak d’oro.

Le chiedono come mai interpreti sempre donne fragili. Risponde:

«Diciamo mattarelle. È come se avessi fatto un patto con chi è nata storta, poi se viene una commedia ben venga. Come posso dar luce a queste donne? Soltanto interpretandole. Non è scontato venire al mondo e starci bene da piccola».

Aggiunge che le piace quando, al cinema, «si parla di problemi psichici, di come affrontare il lutto, di certe mancanze…».

Ammette di aver fatto psicoterapia, in passato.

«Sì, per tre anni. Credo che dovrebbe essere un’esperienza accessibile a tutti, come il medico di base, una figura che ci sostiene, sarebbe bello».

Parla del marito.

«Paolo è un grande, anzi un grandissimo artista. Io da piccola ho frequentato poco i libri. Lui me ne ha dati da leggere, il primo che mi viene in mente è “Revolutionary Road” da cui Leonardo DiCaprio e Kate Winslet hanno girato il film, quella storia di una coppia americana giovane, borghese, che finisce tragicamente».

Racconta se stessa e il rapporto con il set.

«Se i bambini non hanno dormito e sono stanca, sul set porto la mia stanchezza, quello che mi sta accadendo, porto la mia vita. Infatti in ogni film ho una faccia diversa. Sono contro il botox e tutto ciò che devasta l’espressione del volto. Ci sono certe attrici tutte tonde e levigate, simili, omologate… A me non interessa il giudizio della perfezione, non ho paura della ruga».

E la sua adolescenza nella periferia romana. Ha visto Roma per la prima volta a 14 anni.

«Al liceo artistico. Prendevo due autobus, il 709 mi portava all’Eur, poi il 714 a piazza dei Navigatori, quindi un bel pezzo a piedi e arrivavo a scuola. Un’ora e mezza all’andata e altrettanto al ritorno. Stavo in autobus con le amiche, quello che mi piaceva era avanti… Erano romanzi».

E’ cresciuta nel quartiere Axa, a Tor Marancia

«Villette vicino al mare tutte uguali. Soffrivo che non ci fossero teatri e cinema, c’erano soltanto prati. Mi hanno anche bocciata due volte, sfidavo i professori: Michela vai fuori. E io non ci andavo. Mi divertiva essere ribelle e trasgressiva davanti ai miei compagni di classe, oggi dico non fatelo. Avevo l’identità della sfigata, facevo fotoromanzi per emanciparmi e avere un po’ di soldini nel bar davanti alla mia comitiva dove davo baci per finta. Ci si conosceva tutti. Da ragazzina mi chiamavano surf, zero seno e denti grandi. Se ero bullizzata? Beh, un po’ sì. Recitare è stata la mia rivincita interiore».

 

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