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Razzismo? Omofobia? In Italia, ovviamente, trionfa il santino “non esporti”

La Nazionale non si inginocchia. Da noi la lotta per i diritti civili è una seccatura: i media ragionano come Ceferin, “lo sport resti neutrale”

Razzismo? Omofobia? In Italia, ovviamente, trionfa il santino “non esporti”

Ci si nota di più se ci inginocchiamo, o se ce ne stiamo all’erta in disparte? Magari ci accovacciamo. Un accenno di genuflessione, che dici, basta? O tutti o nessuno, però. E se tutti, che sia un “take a knee” sincronizzato, mi raccomando. Vabbé allora meglio di no, dai. Stringiamci a coorte, che siam pronti alla morte (SI’!) ma non a prendere una posizione plateale (NI’!). Che sia il razzismo, l’omofobia, i diritti, siamo italiani e giochiamo a pallone: l’ultimo territorio davvero neutrale della Terra.

Il “dibattito” – come tale lo riporta la cronaca del Corsera – è ancora in corso. Lo spogliatoio azzurro, cantato dalla retorica patriottica come un sol pezzo d’orgoglio tricolore, non riesce a trovare un’intesa sul da farsi: ci pieghiamo a inizio partita sì o no? Seguono mozioni e discussioni, forse – chissà – un voto, come a un congresso di partito. I sondaggi nella loro imperturbabilità dicono che si resterà impalati, come gli austriaci.

Tutto pur di non incrinare la nostra tradizionale pavidità. Che in questi Europei si sta traducendo più in fastidio. Tutti questi arcobaleni, proteste, rimostranze per noi sono seccature. Lasciamo lo sport fuori dalla politica, dicono fin su in cima alla Uefa. Figurarsi noi, qui dabbasso, se ci facciamo sfuggire l’occasione di mimetizzarci, acquattati nelle fresche frasche del calcio Pilato.

Per chi ha il vizio – la perversione – di sfogliare i giornali stranieri, quelli sportivi, lo stacco evidente tra il posizionamento battagliero dei quotidiani tedeschi, o anglosassoni, e quello a compartimenti stagni italiano è esplosiva. Lo stadio di Monaco negato dalla Uefa alla protesta simbolica contro una legge discriminatoria approvata in Ungheria, e tutta la annessa diatriba che ha investito le diplomazie fino ad impegnare il Consiglio Europeo, è rimbalzata sulle redazioni sportive come una palla avvelenata. E rispedita, spesso, alla paginazione politica. Come se Ceferin avesse dettato la linea editoriale: “il calcio resti neutrale”, noi ci battiamo per i diritti di tutti e quindi anche per il diritto di Orban di discriminare la comunità lgbt+.

Questione d’opportunità e d’opportunismo. L’anima democristiana del Paese non ha bisogno di richiami, soprattutto se scende in campo (senza metafore) la Nazionale. Non sia mai rischiassimo di impolverare il momento scintillante degli Azzurri con una questione tutto sommato “aliena” come i diritti civili. Vale il principio di precauzione, il timore di incrinare equilibri flaccidi, titillare tabù, impegnarsi. L’ideale, potessero farlo, sarebbe fingersi morti al fischio d’inizio, come undici opossum. Per poi rianimarsi passato quel minuto di profondo imbarazzo. Invece di dover poi spiegare, a posteriori, che abbiamo tutti amici gay, e neri, e ungheresi persino. Siamo italiani mica per caso: amici di tutti.

Un’aridità che traspare dalla pochezza dei commenti, faticosamente artefatti per non scontentare nessuno. Nel frattempo in Germania la Faz, la Sueddeutsche Zeitung, lo Spiegel, si sono ricorsi a chi sparava più forte al bersaglio grosso: Ceferin. Che da noi resiste incorniciato nel santino sui nostri cruscotti: “non esporti”. L’eroe anti-Superlega, un Avenger del calcio romantico, Ceferin. Il quale, a sua volta, vistosi travolto dal clamore della vicenda stadio, ha sgranato un rosario di comunicati e dichiarazioni in evidente stato d’ansia, arrivando a colorare d’arcobaleno anche la tazza del cesso del suo ufficio, “basta che non ci chiedano di farlo contro l’Ungheria, sarebbe un atto politico”. Anatema.

La pallida eccezione di prammatica – hanno brandizzato un gesto spontaneo di protesta, ora non vale più niente – è solo una scusa. Ha ragione chi dice (oggi Ancelotti, per esempio) che inginocchiarsi per qualche secondo non risolve nulla, ma è nella dedizione alla causa che si trasmette il messaggio. E’ nella reiterazione del gesto, per alcuni persino stucchevole, antipatica (i tifosi inglesi hanno fischiato la propria nazionale per questo. E quelli mica si sono arresi, anzi…), che si nasconde la corrosività del messaggio. Tipo la goccia che piano piano scava la roccia.

Paradossalmente la figuraccia italiana della mezza squadra calata mentre l’altra chiedeva cosa prevedesse il galateo per siffate situazioni ha avuto a suo modo un perché: l’impaccio ridicolo ha generato discussione, righe sui giornali, domande in conferenza stampa, risposte. Ha smosso i limacci. Ma l’involontarietà italiana resta. E’ un timbro. E nel 2021 è dolosa.

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