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Gattuso e la profonda invidia per i tifosi del Tottenham

Elogio della diversità inglese. Le 48 ore che hanno colpito il cocco della stampa italiana. Ancora una volta aveva ragione De Laurentiis

Gattuso e la profonda invidia per i tifosi del Tottenham
during the Italian Serie A football match SSC Napoli vs Fc Juventus.

Quanta invidia, profonda invidia, per la diversità inglese. Già la provammo ai tempi del fallito putsch della Superlega. Da noi tutto si limitò al chiacchiericcio, in cuor proprio ciascuno (presidente ma anche i tifosi) sperava di salire sul carro dell’esclusività. Nel Regno Unito no. Lì protestarono i tifosi delle squadre che avevano scelto la Superlega. Proteste vere, vibranti, quasi violente, ci fu un’invasione di campo. “Il calcio è di tutti, principalmente dei tifosi”. Finì con la retromarcia dei sei club che si ritirarono in buon ordine.

Ieri abbiamo provato invidia per i tifosi del Tottenham. I sostenitori degli Spurs hanno sommerso Twitter di cinguettii contro il possibile arrivo di Rino Gattuso come loro allenatore. Tutto è nato, va detto, dalla lite che Gattuso ebbe con Joe Jordan (allora vice allenatore del Tottenham), quando gli mise le mani al collo. E già basterebbe a comprendere quanto i vertici dei club siano distanti dalla tifoseria, dai cosiddetti clienti (in questo dobbiamo dare parzialmente ragione a chi sostiene questa tesi). Lite che però non viene citata da media inglesi come la Bbc e The Athletic.

Poi, la polemica è virata su argomenti seri, solidi, ovviamente fondamentali per il Regno Unito. In Italia sono barzellette. L’omofobia, il sessismo, il razzismo. I tifosi del Tottenham hanno recuperato vecchie dichiarazioni di Gattuso – di quelle che in Italia fanno tanto uomo vero e senza peli sulla lingua – e le hanno rilanciate. «Noi uno così non lo vogliamo». Altrimenti non tiferebbero per la squadra ebraica di Londra. Immaginiamo il volto di Paratici che si sarà sentito paracadutato nella fotosfera, lui abituato a Bonucci che tira le orecchie a Moise Kean per aver protestato contro i buu razzisti di Cagliari. Ma Paratici si è dovuto adeguare. Gattuso ovviamente avrà tempo e modo di precisare, di offrire la propria versione. Resta il fatto che nel resto del mondo, che oseremmo definire civile, le accuse di omofobia, sessismo e razzismo non sono considerate quisquilie come da noi.

Dopo dodici ore, i tifosi hanno vinto la loro battaglia. Perché quella battaglia è stata il riflesso di un sentire comune, di un’anima della comunità. È questo il passaggio che più ci ha colpito. I tifosi del Tottenham si sono ritrovati tutti dalla stessa parte. Ed era l’altra sponda del fiume rispetto a quella dov’era Gattuso.

Quanto dolore. Quanta invidia abbiamo provato ricordando invece la nostra comunità. Ricordando quanto da noi, a Napoli, Gattuso sia stato idolatrato, accolto come se fosse un grande allenatore. Quanto certi tifosi si sono specchiati nella sua immagine di uomo “tutto d’un pezzo”. I simili si riconoscono. E i tifosi del Tottenham non si sono riconosciuti nell’uomo che parla di veleno, di pericoli da annusare. Non si sono riconosciuti nell’uomo che possiamo per brevità definire il tecnico incomprensibilmente idolatrato dai media italiani. E idolatrato è un eufemismo. Soltanto Libero (e il Napolista), giusto per fare un esempio, hanno ricordato chi era l’allenatore del Milan quando Locatelli venne svenduto al Sassuolo.

Sono state 48 ore che hanno assestato un duro colpo all’immagine di Gattuso, soprattutto a quello che per mesi è stato definito con magnificenza sui media locali e nazionali “l’uomo Gattuso”. Come se gli allenatori non fossero uomini, e tra l’altro non se ne capisce il motivo. E qui tralasciamo il fallimento, FALLIMENTO calcistico che in due anni ha portato il Napoli a un settimo e a un quinto posto, ci ha lasciati sempre fuori dalla Champions, ci ha visti uscire con il Granada in Europa League e tutto quel che ben sappiamo (compresa la Coppa Italia vinta).

Perché, se ne ignora il motiva, Gattuso è sempre stato accompagnato da una narrazione che definire condiscendente è poco. Ci sarebbero termini più consoni, li lasciamo alla conoscenza che ha il lettore del nostro vocabolario. È stato tutto un elogio dell’uomo che dice tutto pane al pane e vino al vino, che non ha paura di rinunciare ai soldi. Una sorta di bignami vivente del populismo spicciolo.

Poi, però, all’improvviso, emerge che Gattuso rompe con la Fiorentina per strani motivi legati al suo agente il potentissimo Mendes e al mancato arrivo di calciatori a lui legati. Ma come? Non era un uomo del popolo? Anche se oggi, giustamente, i quotidiani ricordavano – e noi lo riportiamo – che mai Gattuso ha favorito i calciatori di Mendes e che i motivi della rottura sono stati altri, legati al potenziamento della squadra. Sta di fatto che in pochi anni Gattuso ha litigato col Milan, col Napoli e con la Fiorentina.

Aggiungiamo, così come è emerso da un servizio del Tg regionale Toscana fin qui non smentito, che Gattuso nel corso di una videochat avrebbe insultato in malo modo un componente della famiglia Commisso. E che nei giorni scorsi abbiamo letto di parole spiacevoli volate con De Laurentiis. A proposito. De Laurentiis. A Napoli ogni qual volta c’è un conflitto tra De Laurentiis e mister X, la massa sta sempre con mister X. Fosse pure Hitler. Perché noi siamo come gli adolescenti che considerano il presidente della squadra di calcio la mamma (o il papà) che ha sempre torto e su cui ricadono le responsabilità di tutto. È colpa di mamma. Papà è cattivo, ce l’ha con me. E invece ancora una volta aveva ragione De Laurentiis. Purtroppo, però, De Laurentiis non può contare su una tifoseria come quella del Tottenham. No. È costretto a guidare il Napoli nonostante gli umori della piazza che vanno sempre in direzione uguale e contraria a quella del buon senso. Non a caso, quando ha cominciato ad assecondarla (o comunque ad assumere decisioni gradite all’ambiente) è cominciato il declino del Napoli.

Ricapitolando. Accuse di omofobia, sessismo, razzismo, accuse di cointeressenza col procuratore, accuse di turpiloquio e insulti pesanti. Accuse eh. Ci sarà spazio per la difesa. Altrove basterebbe per etichettarlo giornalisticamente quantomeno, e ci teniamo bassi, come un politicamente scorretto. In Italia, invece, resiste l’immagine dell’uomo vero. Di colui il quale incarna le nostre (vostre eh) radici.

Adesso sarà curioso capire quale segno lasceranno queste 48 ore. Se lo lasceranno. All’estero senza dubbio. Temiamo che la carriera inglese di Gattuso sia cominciata e finita giovedì 17 giugno 2021. Ma in Italia è diverso. Quei dis-valori da noi sono valori. Abbiamo da sempre la memoria labile. E poi tutti quegli amici giornalisti a qualcosa dovranno pur servire, no?

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