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L’insegnamento abbatte i muri, anche quelli del terrorismo: l’ultimo libro di Trombetti

Ne “La compassione” l’ex rettore affronta le conseguenze di quegli anni nel suo rapporto con una ex brigatista che vuole riprendere gli studi di matematica

L’insegnamento abbatte i muri, anche quelli del terrorismo: l’ultimo libro di Trombetti

È quasi impossibile riuscire a rendere oggi che cosa sia stato in Italia quel periodo passato alla storia come gli anni di piombo. Buona parte degli anni Settanta e almeno una metà degli Ottanta. Periodo in cui l’Italia conviveva con un clima di terrore e con notizie pressoché quotidiane di morti ammazzati. Negli anni Novanta, Mimmo Calopresti si misurò cinematograficamente col tema firmando “La seconda volta” un film sull’incontro tra una ex brigatista e uno dei suoi bersagli interpretato da Nanni Moretti. Un film su una fase successiva, sul post-terrorismo. Anche sul desiderio di comprendere il perché di quelle azioni, di quella precisa scelta politica.

Il professor Guido Trombetti si cimenta col tema. Lo fa partendo da quel che gli è realmente accaduto. La scena – definiamola così – che meglio di ogni altra descrive la natura del libro è la descrizione, molto tenera, dell’incontro con due studenti universitari goffi, impacciati, che fanno capolino alla sua porta e chiedono di poter interloquire con lui. Trombetti ripercorre quel quarto d’ora d’imbarazzo in cui in qualche modo fratello e sorella riescono a portare a termine il loro compito: ottenere che il professore segua nella ripresa degli studi di matematica la loro sorella rimasta impigliata nelle maglie della giustizia con l’accusa di terrorismo. La difficoltà dei due ragazzi è una delle fotografie più efficaci della difficoltà a confrontarsi con quel periodo storico.

Il libro si intitola “La compassione”. Ed è un documento importante. Perché è sì un romanzo, Trombetti illustra che c’è una percentuale di fantasia, ma è anche uno spaccato reale del tentativo di re-inserimento dei terroristi che hanno pagato i loro reati con l’isolamento e il carcere duro. Il filo conduttore del libro è il rapporto tra il professore e la studentessa ex brigatista divenuta sua allieva. Napoletana. Rapporto scandito dallo scambio epistolare avvenuto nel corso degli anni. Trombetti la incontra nelle sedute d’esame organizzate in carcere. È come se fosse un film con la voce narrante fuori campo, e la voce narrante è quella dell’ex rettore della Federico II. Con i suoi pensieri, i suoi dubbi, le sue tenerezze, le sue domande su questa esistenza così provata ma che è stata anche così terribilmente feroce. E offre in presa diretta le lettere della studentessa. Riproponendole in maniera integrale.

L’idea del libro nacque dopo aver riaperto vecchi cassetti e aver ritrovato la corrispondenza. Il professore pensò di scriverne un romanzo. E una volta completato, lo spedì a lei dicendole: «Leggilo, se solo un passaggio dovesse urtare la tua sensibilità, io lo cestino. Altrimenti, con il tuo ok, potrei pubblicarlo».

Il libro – in cui si intrecciano anche storie di altri personaggi – è l’ennesima riprova che quel periodo resta un grande buco nero nella storia d’Italia. Non solo per i misteri che lo accompagnano, ma anche perché ha bruciato tante esistenze in oltre un decennio di efferata violenza. Ha bruciato le vite di chi è rimasto esangue sull’asfalto e dei tanti che hanno visto passare gran parte dei loro giorni in galera. Ci sono tanti aspetti ne “La compassione”. Ciascuno può trovare sensazioni, pensieri, ragionamenti, o ritrovarsi in stati d’animo. Trombetti riesce a rendere anche il quadro familiare della studentessa ex brigatista, lo fa sempre in modo lieve, senza alcun accenno di giudizio. Lei, come tanti, apparteneva a una famiglia che potremmo definire alto-borghese.

Il libro ci ha riportato alla memoria il film di Calopresti perché è evidente che anche il professore è tra quelli che, nemmeno tra sé e sé, è riuscito a darsi una spiegazione di quegli anni. Non indulge nei confronti della ex terrorista. Mai. Ma non smette nemmeno in un passaggio di considerare la sua condizione e la sua fragilità.

Chi ha memoria o chi ha studiato quegli anni, troverà anche qualche riferimento di cronaca. È soprattutto un libro sul post-terrorismo e anche sulla bellezza dell’insegnamento che, se vissuto con passione, ti mette in contatto con il mondo, con la vita, ti fa conoscere persone e segmenti che altrimenti non avresti incrociato. È l’altro non detto del libro: lo studio, il desiderio di conoscenza, allarga gli orizzonti, fa sì che ti metta continuamente in discussione.

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