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Don Mazzi: «La droga è come un videogioco. Per i ragazzini la vita vale come un paio di scarpe»

A La Stampa: «Iniziano con le challenge e continuano senza accorgersi di quello che fanno. È un gioco. Vale anche per l’alcol. I ragazzi hanno troppo, non concepiscono la noia» 

Don Mazzi: «La droga è come un videogioco. Per i ragazzini la vita vale come un paio di scarpe»

La Stampa intervista don Antonio Mazzi. Il tema è quello della tossicodipendenza tra i giovani, sempre più estesa, anche a causa del Covid.

«L’età della droga, purtroppo, è scesa terribilmente e non se ne parla».

Ormai, dice, i ragazzini iniziano a farsi già a 11 o 12 anni.

«Ne abbiamo raccolti in tutt’Italia. Sono ragazzini che vanno alle scuole medie, che vengono a trovarci dopo averci sentito parlare in classe. Non lo tengono neanche nascosto. Non sono necessariamente tossicodipendenti, lo fanno per gioco, si divertono. Non so nemmeno come chiamarli. Cadono per caso nella droga, non fanno scelte».

Si fanno di eroina ma anche di tantissime altre sostanze, facilmente reperibili ovunque. Sono diversi dai tossici degli anni ’70, dice.

«I tossicomani di allora avevano qualche senso di colpa. Ed erano più o meno consapevoli sul motivo per il quale avevano iniziato a farsi. Oggi è un disastro perché anche la droga è diventato un videogioco. I ragazzini si giocano la vita dando alla vita lo stesso significato di un paio di scarpe che si comprano per poco e si buttano presto. C’è un nichilismo diffuso di cui si parla».

Tanto incidono anche Internet e i videogiochi. Ma il punto non è solo quello.

«Anche, ma non solo. Certo, ormai è tutto un grande spettacolo e la realtà finisce per confondersi con il virtuale. Iniziano con le challenge e continuano senza accorgersi di quello che fanno. Un amico si buca? Allora mi buco anch’io. È un gioco, l’ho detto».

Il Covid e la quarantena ha fatto scomparire i ragazzi

«nella loro stessa casa, dentro i loro telefoni, nei loro computer. E le famiglie sono andate un po’ a rotoli. Forse i figli hanno troppo, non concepiscono la noia».

E il problema non è solo la droga.

«Sono ragazzini che fanno abuso di droga o che mostrano il disagio anche solo bevendo. Solo che ormai non si beve più: si tracanna. Non si mangia, ci si ingozza. E alla fine ci scappa pure la droga, prodotta in chissà quale laboratorio. Sono tutte punte dello stesso iceberg».

Un iceberg che ha un nome preciso:

«Disagio, autodistruzione. Bisognerebbe fare una riflessione davvero profonda su queste cose. Invece sento solo un assordante silenzio. Dovremmo farci qualche domanda invece andiamo su internet e crediamo di aver trovato tutte le risposte. E intanto la solitudine corrode i nostri ragazzi».

 

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