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Il presidente del Censis: «Col Covid gli italiani sono diventati peggiori, più paurosi e più cattivi»

Giuseppe De Rita a Libero: «Ci sentiamo protetti solo quando siamo con noi stessi, e se c’è qualcuno intorno per noi è un pericolo. Dal letargo, cioè dallo stato di indolenza, sarà più facile uscire, dall’internamento no»

Il presidente del Censis: «Col Covid gli italiani sono diventati peggiori, più paurosi e più cattivi»

Libero intervista Giuseppe De Rita, presidente del Censis. Secondo lui il virus ci ha resi più paurosi, più passivi, meno liberi e anche più cattivi.

«In nome della paura stiamo accettando vincoli e modi di comportamento che inibiscono la nostra vitalità e la ricerca di obiettivi comuni. Assistiamo così a un rannicchiarsi degli italiani entro se stessi, nel proprio egoismo, da cui derivano processi, se non di degrado, almeno di regressione psicologica collettiva».

Il rischio maggiore è l’assuefazione.

«E ciò riguarda soprattutto la condizione di vivere quasi da popolo internato. Quando parliamo di internamento, pensiamo a un carcere, un manicomio, un convento di clausura. In tutti questi casi il meccanismo interno è l’infantilizzazione. Cioè si trattano le persone come bambini, dicendo loro: questa cosa non la puoi fare, questa cosa non la puoi mettere, ti devi lavare bene. Ovviamente non viviamo in senso stretto in internamento, però molte assonanze ci sono: l’obbligo di rispettare regole di minimale comportamento igienico, l’uso della mascherina come divisa da internato, e l’idea che non si possa uscire neanche per andare al bar sono diventati fatti normali. E questo è molto pericoloso. Dal letargo, cioè dallo stato di indolenza, sarà più facile uscire, dall’internamento no».

Gli italiani, dice, non solo sono diventati più rassegnati e meno liberi, ma anche più poveri intellettualmente.

«Ho l’impressione che la fase che stiamo vivendo, producendo molta solitudine, possa ridurre la creatività, la capacità dell’arte di fare cultura condivisa».

Gli italiani sono diventati anche più cattivi.

«La storia sociale di questo Paese non è mai stata pacifica. Non siamo gente tranquilla, ma persone che si sono odiate a morte, hanno fatto guerre civili. Questa tendenza si è acuita con la pandemia: ora ci sentiamo protetti solo quando siamo con noi stessi, e se c’è qualcuno intorno per noi è un pericolo. Dal rintanamento in sé nasce l’egoismo e da lì scatta la cattiveria».

La situazione odierna è diversa da quella del secondo Dopoguerra, quando l’Italia mostrò uno spirito di ricostruzione.

«Nel ’44-’45 era finito tutto, non c’era più niente cui aggrapparsi, eppure il meccanismo della ricostruzione ha funzionato. Allora c’era sia l’individualismo, la voglia di sopravvivere, sia la dimensione collettiva, il voler ricominciare la vita di relazione: prendemmo a ridarci del tu, a parlare tra di noi. Invece oggi abbiamo distrutto la relazione: non solo a causa del consumismo per cui le persone contano meno dei prodotti, ma anche per un elemento più tragico, e cioè l’irruzione del Vaffa nella dimensione politica e sociale. Ci siamo mandati tutti a fanculo. E questa perdita della relazione ci crea meno vitalità nella costruzione del nuovo. La pandemia poi ha fatto esplodere questa condizione e l’ha fatta sentire a tutti».

 

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