«Ho denunciato mio figlio 13enne perché lo amo. Dovevo insegnargli che si sbaglia, si paga e si impara»
Il CorSera intervista una mamma che ha sporto denuncia alla polizia postale perché ha trovato sul cellulare del ragazzo foto di bambini abusati. «E' caduto nella trappola del web. Ora sta meglio, si sente liberato»

Sul Corriere della Sera l’intervista ad una mamma della provincia di Lucca che ha denunciato il figlio 13enne alla Polizia postale per pedopornografia online. Il tutto dopo aver trovato sul cellulare del ragazzino una serie di “fotografie raccapriccianti di bambini”.
«Non ho voluto far finta di niente, ho denunciato. Io amo moltissimo mio figlio e sapevo che solo così si potevano fermare questi abusi. Solo così posso insegnare davvero a mio figlio che nella vita si sbaglia, si paga e si impara. La denuncia l’abbiamo scritta insieme, seduti a tavolino, quando si è reso conto di quello che stava succedendo».
Racconta di non essere stata allertata da segnali particolari.
«Un segnale preciso non c’è stato. Mio figlio era in quella fase in cui i ragazzini iniziano a cambiare, a parlare di meno con gli adulti. Lo vedevo spesso al cellulare, quando mi avvicinavo spegneva lo schermo. Pensavo che stesse scrivendo a una fidanzatina. E invece ho scoperto l’orrore: l’incubo peggiore per ogni genitore».
Un giorno, la donna ha chiesto al figlio di consegnarle il cellulare per controllarlo. Lui ha obbedito.
«Ho trovato qualche sticker e un paio di scatti abominevoli: mi si è gelato il sangue. Ho chiuso tutto, non ce la facevo. Gli ho detto: “Ma ti rendi conto di cosa sono queste?”. Lui ha risposto che era un gioco e che lo facevano tutti i suoi amici. Non capiva che erano foto di bambini veri, abusi reali. Lui li vedeva come semplici meme e li usava come emoticon. “Ma sono piccoli, avranno al massimo la tua età”, ho spiegato. Lui non sapeva cosa rispondere. Il giorno dopo è crollato e ha avuto un attacco di panico. E siamo andati a denunciare, insieme».
La donna aveva parlato al figlio dei pericoli della rete, ma non è servito. Il ragazzo è caduto ugualmente nella trappola.
«Lui cercava qualche meme ed è entrato su Instagram. Ha cliccato su un link, e poi su un altro fino ad arrivare a una chat su Telegram in cui venivano scambiate queste foto tremende di bambini. Ti chiedevano di diffonderle e, per sfida, di mandare le tue».
Ora il ragazzo sta meglio.
«Si sente liberato. Sta meglio, segue un percorso con una neuropsichiatra infantile, ma la cosa che lo sta aiutando di più è poter collaborare con la Polizia Postale. Li devo ringraziare: ci sono stati accanto. Alla fine di tutto andrò con mio figlio in un centro che si occupa di questi problemi: voglio che comprenda attraverso l’esperienza diretta».
Ma una domanda ancora non ha ricevuto risposta, per la mamma: perché lo ha fatto?
«Ce l’ho sempre in testa: perché, perché, perché? Da genitori siamo abituati a chiederci dove abbiamo sbagliato. La risposta non ce l’ho. So solo che non mi sono mai pentita di aver denunciato anche se le conseguenze sono pesanti: probabilmente ci sarà un processo, abbiamo assunto un legale. Però l’importante è che quello che abbiamo fatto servirà ad aiutare altri ragazzini e altre famiglie. E servirà a mio figlio per comprendere che non si può essere complici, seppur inconsapevoli, di queste cose».