Il Giornale racconta le loro storie. Hanno vissuto l’orrore, sono rimasti soli, abbandonati dallo Stato. Col sostegno di due associazioni no profit

Tra i maturandi di quest’anno scolastico ce ne sono dieci diversi dagli altri. Sono gli orfani di femminicidio. Ieri il Giornale ha dedicato loro uno spazio.
Si tratta di ragazzi e ragazze ai quali è stata portata via la madre spesso dal loro stesso padre. Per sempre, a volte sotto i loro occhi. E che, nonostante la tragedia, sono riusciti a rialzarsi e ora vogliono riappropriarsi del loro futuro grazie al diploma.
Ce l’hanno fatta nonostante il lockdown, nonostante tutto. Grazie anche al sostegno dell’associazione no profit Edela e di Feminin Pluriel, che hanno garantito loro il diritto allo studio, cosa che lo Stato non ha saputo fare.
C’è Maria, ad esempio, alla quale, quando aveva solo 12 anni, il padre ha ammazzato la madre. Nessun parente prossimo ad occuparsi di lei. Figlia unica, brava, studiosa a scuola, è finita in una casa famiglia con tutta la rabbia che teneva dentro. Ma poi ha incontrato Roberta Beolchi, fondatrice di Edela, che dal 2018 opera su tutto il territorio nazionale a tutela e a sostegno degli orfani del femminicidio e delle famiglie affidatarie.
Con la Beolchi lavora Diana Palomba, fondatrice di Feminin Pluriel, network internazionale al femminile che promuove l’educazione, la formazione e la protezione di donne e bambini. La Palomba spiega al Giornale:
«Ogni anno scegliamo una causa da sostenere. Quello presentato da Edela era perfetto. La scuola è il luogo in cui questi ragazzi riacquisiscono la dignità strappata».
Roberta Beolchi racconta come ha favorito la prosecuzione negli studi ai dieci maturandi.
«Ho trovato l’istituto giusto per loro, dice Roberta, secondo le inclinazioni dei ragazzi, abbiamo fatto l’iscrizione, parlato con i professori in qualità di zia, la gratificazione più grande però è arrivata dai ragazzi stessi. Si sono impegnati, studiato, preso bei voti, ci hanno creduto ed è stato un regalo meraviglioso».
Per loro, dice,
«Quel diploma è un certificato per tornare alla vita».
Gli orfani non hanno mai confessato ai loro professori o al preside l’inferno che hanno dovuto affrontare. Hanno preferito confondersi tra i compagni, per sentirsi, almeno una volta, uguali agli altri.
La Palomba continua:
«Dignità, è questa la parola che mi viene in mente quando penso a loro. E noi, come Paese siamo chiamati a proteggerli e a difenderli. Leggevo di questi casi terribili di donne uccise dai loro compagni. E molte, la maggior parte di loro, aveva figli, anche piccoli. Ma dei bambini non si parlava mai. Mi sono documentata, ho letto, cercato questi casi, ho bussato alle loro porte, all’inizio non sapendo bene cosa fare ma convinta che avrei potuto aiutare».
A cambiarle la vita è stato l’incontro con una di queste ragazzine.
«Ho parlato con questa ragazzina, era rimasta sola, la madre uccisa e il marito suicida dopo l’omicidio. Una figlia che con grande mia sorpresa non odiava il padre ma il contesto. ‘Se fuori tutti avessero ascoltato e capito i segnali che mandava mio padre, questa tragedia poteva essere evitata e mia mamma sarebbe ancora con me‘».
Perché spesso i segnali non vengono colti, e le denunce sono ignorate, anche dalle autorità. Come nel caso di Giovanni. Sua madre andò a denunciare l’uomo che l’aveva minacciata, ma si sentì rispondere:
«Can che abbaia non morde».
Mezz’ora dopo fu uccisa. Era l’undicesima volta che denunciava.
Lo Stato ha completamente dimenticato questi ragazzi, scrive il quotidiano. Non esistono fondi né pensioni per sostenerli, nessun progetto per garantire cure psicologiche e nessuna indennità per provvedere ai loro bisogni.
Giovanni ha fatto due anni in uno per finire l’istituto tecnico con indirizzo informatico. Adesso andrà all’università.
E poi c’è Luigi che ha visto morire la madre tra le sue braccia e ne ricorda gli ultimi istanti di vita.
«Dal caldo al freddo della morte, l’odore del sangue sulle mani, l’ultimo respiro».
Per anni è stato trattato da autistico perché si comportava così, per difendersi dal ricordo dell’orrore che lo perseguitava. Aveva assistito per anni, insieme ai fratellini più piccoli, alle violenze domestiche.
“Aveva solo quattordici anni eppure già diceva: «Io vivo tanto per vivere». E quel maledetto rimorso, «se solo fossi arrivato cinque minuti prima, gli avrei dato una spinta e avrei salvato lei». Anni di sedute con psicoterapeuti per fargli capire lui cosa poteva fare, era solo un bambino. I tic, la voglia e il bisogno di nascondersi da tutti, la vergogna e i libri che diventano un antidoto e un’evasione. Anche in questo caso i nonni hanno potuto trovare in Edela un aiuto e un sostegno. Anche quando ormai la nonna era morta e lui è rimasto solo con il nonno, i fratellini divisi tra gli zii”.
No sempre questi orfani hanno una famiglia che si prenda cura di loro. Spesso vengono lasciati soli. In loro supporto ci sono associazioni come Edela. Che adesso ha lanciato una nuova iniziativa, «CostruiAmo talenti». Dedicata ai bimbi di due anni, i più piccoli.
«Ognuno di questi figli ha un talento, un’ambizione e merita di essere assecondato. La danza, il corso d’inglese, un viaggio in America in estate. Inclinazioni, desideri che una madre avrebbe incoraggiato leggendoglielo negli occhi. Lei non c’è più. Però lo vogliamo fare noi».