Delivery, a Napoli lunedì riapriranno 2 locali su 10. E nasce la chat Whatsapp: “Io non apro”

Sul Mattino. I ristoratori contro le restrizioni imposte da De Luca. «Così non c'è un ritorno economico. Orari troppo restrittivi, sblocchiamo anche il take-away»

delivery Pizza

Le polemiche sul delivery non si placano. Il Mattino scrive che, a riaprire per la consegna di cibo a domicilio, da lunedì, saranno soltanto due locali su dieci. Confcommercio e Confesercenti stimano un 20% soltanto di ripartenze a causa delle «forti limitazioni imposte dalla Regione» nell’ordinanza emessa.

Il presidente di Confesercenti Campania, Vincenzo Schiavo, dichiara:

«Non ce la faranno perché l’impegno è troppo gravoso e non c’è certezza che ci sia un adeguato ritorno economico. Con l’onere della sanificazione in pochi giorni, per mezza giornata e con i tanti vincoli imposti dall’ordinanza, è tutto a loro sfavore».

Sulla stessa lunghezza d’onde Massimo Di Porzio di Fipe e il direttore di Confcommercio Napoli, Pasquale Russo:

«Per poter operare servono correttivi all’ordinanza ogni lavoratore dovrebbe avere un certificato medico, infatti, ma è impossibile in questo periodo farsi visitare dal medico curante. Difficile poi approvvigionarsi di mascherine, i copriscarpe non servono, e i grembiuli monouso sono quasi introvabili su due piedi. Inoltre, la Regione prevede la sanificazione: ma se siamo chiusi da 45 giorni, come potrebbe esserci il virus nei locali?».

C’è poi il problema dell’orario.

«Le pizzerie possono lavorare dalle 16 alle 22, ma non ci sono i tempi necessari tra la preparazione degli impasti e le relative consegne. Una pasta deve crescere per 5 ore. Chiediamo al governatore che dal 4 maggio ci sia un adeguamento delle ordinanze regionali a quelle nazionali. Da quello che ci risulta l’80% dei nostri 10mila iscritti ha deciso di aspettare il mese prossimo, e non partirà il 27. Da martedì si aggiungeranno altri esercizi, ma non faranno servizio delivery, piuttosto riorganizzeranno i locali. Bisogna inoltre sbloccare il take away il 4 maggio, oltre al food delivery. Solo con il cibo d’asporto molte saracinesche potranno rialzarsi».

A riaprire saranno in pochissimi. Secondo le associazioni, per rispettare l’ordinanza ciascun ristoratore dovrà spendere circa 600 euro tra costi di sanificazione e corsi di formazione per i dipendenti, oltre a circa 100 euro per i dispositivi sanitari.

Il quotidiano racconta che è stata creata una chat Whatsapp dal titolo eloquente, “Io non apro”, in cui i titolari dei locali comunicano. Tra i fondatori ci sono Guido Guida di Opera al Vomero in via Luca Giordano, Antonio Siciliano del Bar Napoli, Attilio De Gais di Vesi Gourmet in via Caracciolo, Vincenzo Imperatore dell’omonima rosticceria dei Colli Aminei e Giuseppe Scicchitano della Figlia d’o Marenaro di via Foria.

Vi partecipano 200 ristoratori, tra bar, pizzerie e paninoteche. Guida, di Opera, lancia l’allarme.

«Siamo imprenditori preoccupati. Le limitazioni imposte dalla Regione, senza aiuti economici, senza interventi sugli affitti, sulla tassa dell’immondizia e senza agevolazioni fiscali, ci stanno mettendo in agitazione. La limitazione di orari imposta dall’ordinanza inibisce qualsiasi possibilità di lavorare. Il delivery che apre alle 16 e chiude alle 22 è impossibile. L’offerta non si creerà mai. Aspettiamo risposte importanti dallo Stato per sapere come comportarci con i nostri dipendenti nei prossimi mesi, anche perché, con il freno agli ingressi, i dipendenti necessari saranno molti di meno. Senza ammortizzatori sociali saremo costretti a licenziare»

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