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Il Giornale: la spietata legge del tifo, chi paga il biglietto intasca il diritto di fischiare e ne abusa

Ad ogni partita i tifosi fischiano ex beniamini o chi secondo loro è colpevole di un’onta indelebile, da Ancelotti a Gasperini. E c’è anche chi, come Ranocchia, ha dovuto ricorrere ad un mental coach

Il Giornale: la spietata legge del tifo, chi paga il biglietto intasca il diritto di fischiare e ne abusa

“Il popolo è sovrano. Come il pubblico, che paga il biglietto e s’intasca un diritto non scritto di cui abusa. Quello di fischiare, contro gli avversari e contro i propri beniamini; quello purtroppo di insultare chi fino all’altro ieri aveva glorificato per un gol da copertina”.

Esordisce così Giorgio Coluccia su Il Giornale, nel parlare di un trend antichissimo negli stadi, quello che spinge i tifosi a fischiare e offendere quelli che un tempo hanno ritenuto loro beniamini e poi sono passati ad altre sponde calcistiche o che si sono macchiati di episodi incancellabili dalla loro mente.

E’ il caso di Gasperini. Mai perdonato dai tifosi viola per aver accusato Chiesa di essere un simulatore. O di Ancelotti, che dalla tifoseria della Fiorentina è sempre stato beccato, scrive Coluccia, tanto da dire, ad agosto, quando era ancora allenatore del Napoli:

«Dopo 90’ di insulti, mi sono permesso di indicare a quei pochi ignoranti dietro alla mia panchina che era ora di andare a casa».

Del resto il tecnico di Reggiolo viene insultato anche quando gioca allo Stadium, perché gli juventini non gli hanno mai perdonato l’abbandono. Ogni volta che è andato a giocare a Torino, i bianconeri gli hanno rivolto il coro

«un maiale non può allenare»

Nella passata stagione Ancelotti rispose anche a loro, dicendo:

«Mi consolerò guardando in bacheca la Champions del 2003».

Non c’è partita in cui non ci siano giocatori che non vengono contestati o insultati.

“Chi paga, per vedere giocare. Chi viene pagato, e tanto, per giocare. Non c’è partita però tra chi si ritrova da solo contro uno stadio intero, contestato e insultato a prescindere. Sistematicamente. Altrettante volte fischi e disapprovazione arrivano anche dalla propria barricata”.

Come per Mazzarri, che ha gli stessi punti della stagione scorsa ed è a meno 2 dal sesto posto, oltre che ai quarti di finale di Coppa Italia, eppure i tifosi lo fischiano ogni volta. O come per Suso del Milan.

“San Siro ha il palato fino, ha ammirato fior di campioni e trofei luccicanti, per questo fa fatica a perdonare. Candreva ne sa qualcosa, il suo amore-odio con la tifoseria interista ha toccato l’apice due stagioni fa, durante una sfida con la Lazio, e al primo anello blu rispose con uno sputo, aggiungendo verso un tifoso: «Mortacci tua, mortacci»”.

Ma c’è anche chi, per venirne fuori, si è dovuto affidare ad un mental coach, come Ranocchia. Il difensore interista ammise:

«Combatto i fischi grazie a un supporto psicologico, i pregiudizi negativi fanno male».

E’ la legge del tifo, scrive Coluccia.

“È questa la spietata legge dell’amore condizionato, l’ammirazione del tifoso oggi è viscerale, domani svanisce in fretta, si traveste da loggionista spietato come un melomane in astinenza. Sempre Carlo Ancelotti, ai tempi del Parma, si presentò deciso in conferenza: «Vorrei dire al pubblico che non tirerò mai fuori dal campo un giocatore fischiato». Si riferiva a Crespo, bersagliato dal Tardini e diventato il primo calciatore a portarsi le mani verso le orecchie dopo un gol, in segno di provocazione. «Oddio, è sordo? No, è solo incazzato»”.

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