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Come giocano le squadre di Gattuso (che è un allenatore non un motivatore)

Al di là della retorica che lo sta avvolgendo, il tecnico ha principi di gioco ben strutturati. Il suo Napoli sarà meno verticale e più rigido (come preferiscono i calciatori)

Come giocano le squadre di Gattuso (che è un allenatore non un motivatore)

Anti-retorica

La prima cosa da fare in merito alla figura di Gennaro Gattuso e alle sue idee calcistiche è un lavoro di debunking. O meglio: un’operazione anti-retorica. Secondo il racconto stereotipato tipico del giornalismo sportivo italiano, l’ex allenatore del Milan preferisce concentrarsi sugli aspetti psicologici del suo ruolo, plasma le sue squadre come se il gioco del calcio derivasse da un patto umano, magari un patto di sangue, piuttosto che da meccanismi tattici e da intuizioni tecniche. È un’eredità narrativa che Gattuso si è trascinato nella sua nuova carriera dopo la sua vita da calciatore – come se le qualità del centrocampista che è stato fossero solo emotive e mentali e aggregative, e non anche tattiche e fisiche.

Ecco, partiamo da un punto che deve essere chiarito subito: Gattuso è un allenatore di calcio. O meglio: prima di tutto è un allenatore di calcio. Dopo, ma solo dopo, è un motivatore, un sergente di ferro, o qualsiasi altra etichetta preconfezionata e un po’ vuota che vogliate o vogliamo apporgli addosso. Il suo Milan, soprattutto quello della prima stagione (2017/18) è stata una squadra con un’identità riconoscibile, che scendeva in campo per concretizzare principi tattici chiari, precisi, predefiniti. Il fatto che lui si dimenasse in panchina, che incitasse i suoi uomini con gesti plateali, non aggiunge niente alla sua leadership. Era un puro spettacolo a favor di telecamera, che fa parte del personaggio senza definirlo. Gattuso è altro. Ed è stato scelto dal Napoli perché il suo modo di allenare e far giocare una squadra di calcio è stato ritenuto adatto alla rosa del Napoli. Vediamo perché.

Modulo e principi di gioco

Si è già parlato (tanto) di ritorno al 4-3-3. Anche nella conferenza stampa di presentazione. Effettivamente si tratta del sistema di gioco che Gattuso ha adoperato al Milan nella stagione 2017/18, e in larga parte di quella successiva. Solo che, come abbiamo ribadito spesso nelle analisi tattiche pubblicate su questo sito, il modulo è poco più di una combinazione di tre numeri a somma dieci. In realtà dice poco rispetto alle idee di un allenatore. Sono i principi di gioco a fare la differenza, non la definizione numerica dello schieramento. L’utilizzo di un certo sistema di partenza determina inevitabilmente certe spaziature in campo, che magari possono essere più congeniali per certi calciatori. Però tutto dipende dall’atteggiamento e dalle idee che stanno dietro determinate scelte.

In fase offensiva, durante la sua esperienza al Milan, Gattuso ha cercato di esaltare la qualità della sua rosa con un gioco ricercato, basato sul possesso e sulla tecnica di base. È qui che potrebbe concretizzarsi il primo punto di contatto tra il nuovo allenatore del Napoli e i suoi nuovi giocatori. I dati che supportano questa tesi: al termine della stagione 2017/18, il Milan di Gattuso è quinto in Serie A per possesso palla medio (54%); era secondo per tiri in porta (6 per partita) e per occasioni create con passaggi corti (11 per partita). Era il Milan di Bonucci e Romagnoli, Biglia, Bonaventura e Kessié; soprattutto era il Milan di Suso e Cahlanoglu, due esterni creativi su cui era fondata la manovra d’attacco dei rossoneri.

Un’azione tipica del Milan di Gattuso: utilizzo del possesso sulle catene laterali per risalire il campo; palla a Suso dopo uno scambio; cross in area di rigore. In questo caso, Cahlanoglu chiude l’azione con un perfetto movimento all’indietro – e una bellissima conclusione di prima.

L’idea di Gattuso, una volta valutati i calciatori a sua disposizione, fu quella di mettere a punto i meccanismi migliori per azionare i laterali del suo tridente. Suso, schierato a destra, veniva supportato da Calabria e da Kessié in fase difensiva; in avanti, lo spagnolo veniva volutamente isolato per la maggior parte delle azioni, così da creare situazioni uno contro uno in cui esercitare la sua qualità nel dribbling – soprattutto a rientrare sul piede forte. Dall’altra parte, invece, Cahlanoglu giocava con una mezzala più offensiva e verticale (Bonaventura) e un terzino più abile nel possesso (Rodríguez). Proprio a destra, più che in altre zone del campo, il Milan di Gattuso provava a creare i triangoli classici del gioco di posizione attraverso sovrapposizioni interne e soprattutto esterne.

È qui che nascerà la vera differenza con il calcio di Ancelotti, così come ha spiegato Federico Aqué sul sito di Sky Sport: «Il Napoli dell’ultimo anno e mezzo voleva far circolare la palla nei corridoi interni, utilizzando i giocatori in ampiezza per allargare le distanze nello schieramento avversario e facilitare la manovra negli spazi centrali. Il Milan di Gattuso, invece, non ricercava con la stessa insistenza l’occupazione degli spazi dietro il centrocampo avversario e preferiva avanzare sulle catene laterali, partendo però da un’uscita della palla dalla difesa molto palleggiata».

La difesa

Se fin qui è possibile notare una somiglianza, se non addirittura una certa prossimità con alcuni concetti tattici del Napoli di Sarri, è in fase difensiva che le differenze sono più nette. Nel suo Milan, Gattuso non aveva a disposizione centrali fisicamente dominanti e quindi portati a difendere in avanti – come Koulibaly e Manolas. Per questo, la squadra rossonera preferiva attendere l’avversario e non alzare troppo l’intensità del pressing; allo stesso tempo cercava di disegnare distanze molto brevi tra i reparti. Nel frame di sotto, per esempio i rossoneri tengono molto alta la linea difensiva ma lasciano comunque impostare il Napoli (di Sarri) con una discreta libertà.

Un frame di Milan-Napoli, stagione 2017/18

C’è ancora un’altra differenza con il gioco di Sarri: in alcune partite, nella prima così come nella seconda stagione al Milan, Gattuso ha adottato sistemi difensivi anche più prudenti. Proprio contro il Napoli, nel match di Coppa Italia a gennaio 2019, i rossoneri tennero un baricentro bassissimo (37 metri in fase passiva) e rimasero cortissimi in campo (lunghezza media della squadra a 26 metri) per limitare la squadra di Ancelotti. Riuscirono nell’intento (il Milan vinse 2-0 con doppietta di Piatek) cambiando radicalmente il proprio approccio difensivo e quindi anche offensivo. In quella partita, piuttosto che risalire il campo con il possesso palla, il Milan sfruttò la capacità di Piatek di attaccare gli spazi aperti. Proprio il polacco realizzò due gol in fotocopia, praticamente lanciato da solo contro i centrali del Napoli.

Gattuso è cambiato insieme al Milan

In realtà, la seconda stagione di Gattuso al Milan è stata scandita da diversi cambiamenti più o meno obbligati. Nell’estate del 2018, i rossoneri erano una squadra con un’identità chiara. Addirittura, James Horncastle scriveva così, su Espn, di Gennaro Gattuso: «Inizialmente si pensava che fosse un semplice motivatore, ma la realtà è ben diversa: il tecnico del Milan ha messo i suoi calciatori nelle condizioni migliori, ha trasformato un gruppo di estranei in una squadra con un sistema di gioco ben definito». Le sensazioni positive vennero alimentate anche dal mercato: Gonzalo Higuaín sembrava un centravanti perfetto per rendere in un contesto che cercava di accorciare i reparti e di giocare il pallone con qualità e sofisticatezza.

Il fallimento (emotivo prima che tecnico) dell’operazione Higuaín e il grave infortunio di Biglia – l’argentino è stato assente da ottobre 2018 a febbraio 2019 – hanno costretto Gattuso a rivedere i piani. Anzi, a cambiarli completamente. Così il Milan ha spesso variato il modulo di gioco, utilizzando per esempio il 4-2-3-1 con Bakayoko e Kessié davanti alla difesa. In alcuni momenti, i rossoneri sono stati schierati pure con la difesa a tre.

Un gol di Piatek nella scorsa stagione: le distanze del Milan sono più ampie rispetto ai video e ai frame precedenti, poi l’attaccante polacco non lega con i centrocampisti, anzi chiede ai compagni di servirlo in profondità mentre lui attacca la porta avversaria. Poi realizza con una splendida coordinazione volante.

Come detto sopra, però, il modulo è un concetto secondario. I “nuovi” calciatori hanno portato Gattuso a dover modificare più volte i meccanismi di gioco. La presenza di Bakayoko, per esempio, ha reso più ruvido il possesso ma più aggressiva la fase di recupero del pallone. Allo stesso modo, il ritorno di Bonucci alla Juventus ha tolto un’opzione importante in fase di costruzione da dietro, rendendo più elementare, meno ragionato e cerebrale l’avvio della manovra. E poi a gennaio è arrivato Piatek, una prima punta decisamente diversa da Higuaín, meno associativa nel suo gioco, più portato ad attaccare l’area in verticale e/o a riempirla con la sua fisicità.

Il Milan 2018/19 è stata una squadra ibrida se non addirittura confusa, completamente diversa da quella dell’annata precedente. Gattuso ha dovuto adattarsi più volte al contesto e ha finito per smarrire l’identità definita che aveva contraddistinto la prima parte della sua esperienza rossonera, e per il secondo anno consecutivo ha fallito l’accesso alla Champions League. I numeri, però, dimostrano come il tecnico calabrese abbia trovato dei buoni equilibri nel finale di stagione, tanto da chiudere il girone di ritorno a 37 punti. Gli stessi della Juve, due in più del Napoli di Ancelotti. Due in meno rispetto agli ottimi 39 del girone di ritorno del campionato 2017/18.

Come potrebbe giocare il Napoli

In virtù di queste premesse, l’arrivo di Gattuso al Napoli lo pone a metà strada tra le idee di Sarri e quelle di Ancelotti. Da una parte alcune certezze/preferenze chiare per non dire granitiche; dall’altra, un’attitudine ai cambiamenti in corsa per valorizzare i giocatori a disposizione e assecondare i momenti. Il suo vissuto al Milan mostra come Gattuso abbia dato il meglio di sé quando si è espresso imponendo alcuni principi di gioco ben strutturati, ma anche la sua capacità di reinventarsi, almeno in parte; con la stessa franchezza, va detto che è sembrato meno efficace proprio quando le contingenze l’hanno costretto a essere più mutevole nel suo approccio tattico.

Come sapete, chi scrive cerca di parlare ex post, cioè utilizzando dati il più possibile oggettivi. Cerca di evitare le previsioni. È difficile ipotizzare come potrebbe giocare il Napoli, a maggior ragione in questo spazio dedicato all’analisi tattica. Però, per esempio, si può già dire che ci sarà un cambiamento rispetto al recente passato: al netto dei rapporti umani, la tensione tra la squadra e Ancelotti-allenatore verteva proprio sulla necessità – da parte dei giocatori – di avere dei meccanismi di riferimento, quindi un minor carico di responsabilità tattiche individuali. Da questo punto di vista, Gattuso potrebbe essere una scelta sensata.

Gennaro Gattuso al suo primo allenamento con il Napoli

Per quanto riguarda l’adattabilità teorica, il 4-3-3 sembra essere un punto di partenza chiaro – anche perché “dichiarato”. Pure il gioco di posizione, ormai interiorizzato dai calciatori del Napoli – e utilizzato anche da Ancelotti in alcuni segmenti della sua esperienza –, potrebbe essere un elemento di prossimità con il passato. Sugli uomini e sui meccanismi: Insigne potrebbe essere il regista esterno “alla Suso”, ovviamente a fascia invertita (e a piede invertito); Milik è un perfetto centravanti associativo; manca un costruttore di gioco “puro”, alla Biglia più che alla Jorginho, e allora sarà interessante capire come sarà impostata la costruzione bassa dalla difesa.

Di certo vedremo un Napoli meno verticale e probabilmente anche meno liquido, più rigido tatticamente in fase di costruzione del gioco. Ci vorrà tempo, proprio perché Gattuso è un allenatore di calcio, come detto in apertura. In un’intervista, una volta, ha detto: «A me non piace fare le cose da arruffone. Non è che ti svegli la mattina e fai una cosa così, senza un lavoro dietro». Non è un caso che sia stato scelto proprio lui in questo momento. Per questo Napoli.

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