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Giulio Facchi: «La vicenda Resit si chiude con una clamorosa sconfitta. È stato un processo mediatico»

«Ho pensato di uccidermi per gridare al mondo la ferocia di un mix tra sistema giudiziario e sistema dei media che non guarda in faccia nessuno»

Giulio Facchi: «La vicenda Resit si chiude con una clamorosa sconfitta. È stato un processo mediatico»

La Terra dei fuochi

Ieri c’è stata la sentenza d’appello del processo Resit il processo più importante di quella che è passata alla triste storia col nome di Terra dei fuochi. La Corte d’Appello presieduta da Roberto Vescia ha condannato tre imprenditori: Cipriano Chianese a 18 anni (assolto per disastro ambientale, condannato per avvelenamento), Gaetano Cerci e Remo Alfani a 10 anni. Gli altri tutti assolti, tra cui Giulio Facchi, oggi 63 anni, che negli anni Duemila venne chiamato da Antonio Bassolino in qualità di subcommissario all’emergenza rifiuti.

Soprattutto la condanna di Chianese è al centro del dibattito sui social. In questi anni molti giornalisti hanno lavorato al tema, assumendo posizioni fortemente di parte. La parte colpevolista. Come spesso accade, si finisce col diventare sostenitori di una fazione (il Napolista ha sostenuto l’altra parte). Come se si fosse pubblici ministeri. E in una conversazione in un un gruppo Facebook, proprio in risposta a un giornalista, è intervenuto Giulio Facchi con uno scritto che noi consideriamo molto interessante. E che col suo consenso pubblichiamo sul Napolista.

La divisione in buoni e cattivi

«Come sai ti seguo e ti apprezzo per come svolgi il tuo lavoro. Devo però evidenziare che a volte la tua caccia ai cattivi, o presunti tali (non credo tu ti voglia attribuire l’infallibilità nei giudizi sulle persone) ti fa perdere il senso di umanità e di oggettività. Classico di chi si sente in guerra, in trincea. L’obiettivo diventa il “colpo grosso” e se questo massacra altre persone innocenti, ne distrugge la vita, poco conta. Colpire i “cattivi” diventa la ragione assoluta, non importa se per fare ciò si giunge al macchiavellico “il fine giustifica il mezzo”.

Eppure ci sono dei “ma”. Se per colpire i cattivi si distruggono altri innocenti, si finisce con il confondere i confini tra “buoni” e “cattivi”. Vengo al dunque.

Mancini non considerava Chianese il diavolo

Conoscevo abbastanza Roberto Mancini (il poliziotto che ha indagato sullo sversamento illegale di rifiuti speciali e tossici in Campania e che è morto quattro anni fa), faceva indirettamente parte della squadra che mi sosteneva. Collaborò con il progetto di affidare i trasporti a una societa interamente pubblica delle ferrovie (ecolog) per impedire che i trasporti fuori regione finissero nelle mani dei “soliti noti”. Porterò nella tomba con me i giudizi su Chianese che Roberto mi aveva espresso quando gli parlai della ipotesi di un utilizzo della Resit in emergenza. Posso solo dirti, e ti prego di credermi sulla parola, che Roberto mi disse cose diverse e non coincidenti con il giudizio che esprimi. Lui non era mai stato in Resit e, altrimenti non lo avrei fatto, non mi disse, pur indicandone i rischi “Giulio non andare li, perché Chianese è il diavolo!!!”.

Ecco, prima considerazione, forse bisogna prestare attenzione quando, semplificando, si vuole dividere il mondo in buoni e cattivi. Stare con i buoni vuol dire non solo combattere i cattivi, ma soprattutto rispettare valori umani, etica e senso equilibrato della giustizia. Non sta con i buoni, per capirci, chi concepisce il carcere come un luogo ove far marcire i cattivi (presunti o accertati).

Molte volte ho pensato di farla finita

Altra considerazione: questa vicenda giudiziaria, grazie a un accanimento esasperato del PM (Milita, ndr) e all’intreccio fra esso e i media, ha distrutto la mia vita, il mio lavoro, la mia famiglia la mia dignità, i miei sogni. la necessità di inserire tra i cattivi un ponte con la politica, ma al fine anche di proteggere chi aveva reali responsabilità politiche, ha stroncato la vita, per 16 anni, di una persona perbene, anche lui convinto di essere in trincea contro i cattivi: la mia vita, quella di Giulio Facchi, colui per il quale IL FATTO NON COSTITUISCE REATO.

Molte volte ho pensato di farla finita, pur sapendo di essere innocente, pensavo che l’estrema azione autodistruttiva potesse servire a gridare al mondo la ferocia di un mix tra sistema giudiziario e sistema dei media che non guarda in faccia nessuno ma porta ognuno a incastrarsi in un teorema accusatorio mai provato. Ecco, se mio figlio in una occasione e l’estrema mia reazione in un altra, non mi avessero impedito di porre fine alla mia vita, oggi questa storia avrebbe in sé un MORTO INNOCENTE. Non sarei qui a riflettere, ma sarei stato nella coscienza di molti.

Ecco, da te mi aspettavo due parole su questo, non che tu usassi la condanna di Chianese come coperchio di una vicenda giudiziaria che con la sentenza di ieri finisce in una clamorosa sconfitta. Una vicenda che solo per caso e per un figlio d’oro io, persona innocente, sono qui a commentare. Meno fortunato di me il caro ingegnere Attilio Buonomo, morto presto e impossibilitato a vedere e gioire della sua certa assoluzione e del suo essere senza macchia. Un abbraccio, caro Attilio

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