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Alla Juve manca Marchionne, preferisce il giaciglio protetto del calcio italiano

Dopo aver a lungo beneficiato di una posizione dominante in Italia, la Fiat con Marchionne ha sfidato il mercato internazionale. La Juventus degli Agnelli, no

Alla Juve manca Marchionne, preferisce il giaciglio protetto del calcio italiano

Var o non Var

In questi giorni nel giornalismo sportivo italiano si parla tanto dell’opportunità di prevedere la Var nelle competizioni europee.

Ma bisognerebbe chiedersi: stiamo parlando di quella del girone d’andata oppure di quella del girone di ritorno? Perché il vero capolavoro comunicativo della Juventus di quest’anno è stato il discorso sulla Var. Lo dico senza ironia: davvero bravi!

Hanno iniziato lamentandosene: le partite finiranno a notte inoltrata, con risultati da pallanuoto, la fine della poesia. Insomma, un ottuso determinismo tecnologico sta spegnendo le emozioni e, soprattutto, togliendo autorevolezza all’arbitro. Concetti ripetuti con sistematica puntualità, fino a determinare il passaggio dall’uso consistente della prima parte del campionato a quello più selettivo e discrezionale del girone di ritorno. Indovinate a vantaggio di chi? Le risposte sono le partite di Cagliari, Firenze, Roma con la Lazio, Benevento, quindi il capolavoro di San Siro di domenica scorsa.

Nello stesso tempo, è stata interdetta dal discorso televisivo e giornalistico la polemica arbitrale: perché, comunque, lamentarsi nonostante la tecnologia sarebbe parso anacronistico. E gli juventini avrebbero potuto replicare: “ma noi lo diciamo dall’inizio che non ci piace!”

La Juventus non ha rivali

D’altra parte chi si sarebbe dovuto lamentare? Milan e Inter a livello societario non esistono. La Roma è di un presidente americano, molto intelligente, ma interessato a ben altro. La Lazio di un personaggio scaltro quanto buffo che persegue suoi interessi. La Fiorentina e il Torino di due importanti imprenditori: ma, nel primo caso, l’interesse principale è extracalcistico e ormai anche un po’ usurato; nel secondo, Cairo è troppo impegnato a gestire il recente ingresso nel salotto buono dell’editoria con l’acquisizione della RCS per mettersi a far casino sul calcio.

Napoli resta quasi sola contro la Juve, non soltanto sul terreno di gioco. ADL, assecondando la sua vena guappesca, negli anni passati ha fatto un po’ di ammuina, ma poi si è ritirato in buon ordine. Ha patteggiato con Agnelli uno strapuntino all’ECA e non vuole esporsi. Ha capito che farlo non lo porterebbe da nessuna parte. Non so se sia un calcolo giusto, ma comunque ne dobbiamo prendere atto!

La Juve balla da sola. Fa e disfa. E allora vai con la Var in Europa, così le indubbie penalizzazioni di Bayern e Roma si tirano dietro anche quelle molto più dubbie dei torinesi a Madrid.

Come la Fiat degli Agnelli

La squadra degli Agnelli ricorda sempre più la FIAT degli Agnelli. Un’azienda automobilistica in grado di mietere successi soprattutto dove la concorrenza era temperata dalla centralità dei rapporti con la politica. Quel capitalismo di relazione ricordato da Mario Bologna qualche giorno fa sul Napolista.

Forse non tutti sanno, ad esempio, che fino a quando alla fine degli anni Settanta non è nata la televisione privata in Italia, la Rai – monopolista pubblica – non trasmetteva pubblicità delle aziende automobilistiche. Come mai, in un Paese che aveva fatto del trasporto su gomma la cifra distintiva? Forse perché c’era un’influente famiglia di imprenditori automobilistici che non voleva far sapere come nel mondo esistessero altri che fabbricavano auto? E infatti le percentuali di penetrazione delle Fiat nel mercato italiano erano fantastiche.

Beninteso, tutto legale. Così come non c’è niente d’illegale nella soggezione (qualcosa in più della sudditanza psicologica) che la Juve incute nel mondo del calcio. Tutto legale, almeno fino a che la progressiva sicumera non ti fa rinchiudere arbitri nello spogliatoio a Bari e via discorrendo, così da incappare in Calciopoli.

La differenza tra la Juve e la Fiat

Tutto legale, ma che progressivamente t’impigrisce. T’incattivisce nella retorica della vittoria a qualsiasi prezzo, che alla lunga rischia di farti virare verso il machiavellico fine che giustifica i mezzi. Ti fa distogliere l’attenzione dal gioco per puntare sulle giocate: bellissime quando restano confinate nel perimetro di gioco; più opinabili se si trasformano nei messaggi trasversali che il direttore generale manda al mercato, nel conforto delle troppe partite giocate in anticipo, nell’arroganza dei titoli tolti ma comunque esibiti all’ingresso del proprio stadio.

Ecco. Mentre la Fiat è stata costretta dall’evoluzione dell’economia mondiale ad abbandonare quei mercati protetti e scendere nel burrascoso mare della concorrenza globale, a trasformarsi in FCA e affidarsi a Marchionne per diventare una multinazionale sempre meno italiana; la Juve ancora non ha compiuto questo salto di qualità. Resta nel giaciglio protetto del calcio italiano. Forse anche per questo quando arriva in Europa perde molte delle sue certezze. 

Mi rendo conto che per loro sarebbe difficile ammetterlo, ma forse gli converrebbe perdere qualche scudetto, però affrancarsi da questo potere d’interdizione, da questa perdurante cultura organizzativa; smentire il “ci può stare” di beniteziana memoria per evolvere verso un calcio davvero universale.

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