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“La Recita”, come una gravidanza interculturale salva un ragazzino dalla camorra

Intervista a Guido Lombardi regista del “corto” La Recita che a Venezia ha vinto il premio come miglior film del concorso MigrArti

“La Recita”, come una gravidanza interculturale salva un ragazzino dalla camorra
Una scena del cortometraggio “La Recita”

NUna gravidanza inaspettata

«Napoli è un porto di mare, ha avuto una dominazione dopo l’altra, vede convivere  da sempre popolazioni completamente diverse culturalmente. Napoli è la città dell’integrazione». La pensa così Guido Lombardi. Ed è forse per questo che nel suo cortometraggio La Recita, che affronta appunto il tema dell’integrazione, tutto sembra semplice, naturale, quasi magico. La soluzione dei conflitti tra culture diverse arriva leggera, come una conseguenza di un valori condivisi, persino di fronte ad un imprevisto pesante, come la gravidanza inaspettata di una ragazza africana e del suo fidanzatino napoletano.

Intanto La Recita ha conquistato, alla 74esima Mostra del Cinema di Venezia, la giuria istituita dal Ministero dei Beni culturali per la seconda edizione del concorso MigrArti. I giudici e il presidente, il regista e scrittore Francesco Patierno, hanno assegnato al corto di Lombardi il Premio Miglior film, perché “ha saputo raccontare una storia avvincente che riesce a stratificare la narrazione su più livelli, trattando il tema dell’integrazione con eleganza ed umorismo”.

Immigrazione e integrazione

Ieri sera ha ottenuto una grande accoglienza dal pubblico del Burning, nel corso di una serata a metà strada tra cinema e musica, organizzata da Nelson, autore di Non devi avere paura, uno dei pezzi della colonna sonora de La Recita. Stasera alle 18.00 sarà proiettata come corto fuori concorso al PAN, nell’ambito della nona edizione de “I Corti sul lettino Cinema e Psicoanalisi”, la rassegna di cortometraggi ideata da Ignazio Senatore, psichiatra e critico cinematografico. Sarà presente anche il produttore Gaetano Di Vaio.

Immigrazione e integrazione sono temi su cui lavora da tempo Guido Lombardi, classe ‘75, a metà strada tra il Vomero, dove è nato e cresciuto, e le zone più popolari di Napoli.  Nel 2011 con  “Là-bas – Educazione criminale” ha descritto lo sfruttamento degli immigrati africani da parte della Camorra attraverso la storia di Yssouf. Là-bas ha ottenuto il Leone del Futuro – Premio Venezia Opera Prima Luigi De Laurentiis alla XXVI Settimana Internazionale della Critica della Mostra del Cinema di Venezia. Nel 2013 con “Take Five”, ha raccontato la storia di “cinque irregolari” alle prese con una rapina milionaria.

Qual è la genesi de La recita?

«La Recita nasce a Forcella, in particolare nel centro “Annalisa Durante” dove ha luogo il laboratorio organizzato dai Teatri di Seta che mette insieme e fa recitare donne di diverse età e di diverse nazionalità. Donne immigrate e donne napoletane. L’idea  del corto è partita da me e dal mio sceneggiatore, Marco Gianfreda».

L’idea è quella di mostrare come possano entrare in contatto culture diverse. Perché per farlo avete raccontato proprio di una gravidanza?

«Abbiamo ragionato su quale evento nella vita di una ragazza immigrata di seconda generazione potesse scatenare conflitti e ci è venuta in mente la gravidanza che di per sé può mettere in crisi una persona giovanissima e può creare forti divergenze tra persone di culture diverse. Abbiamo constatato che anche le famiglie di immigrati sono preoccupate del fatto che le loro figlie possano essere sedotte da ragazzi italiani e non soltanto viceversa».

C’è anche una Napoli che si affranca dalla malavita, proprio grazie ad una gravidanza “interculturale”…

«Con il personaggio del fidanzatino napoletano di Chinuè, abbiamo voluto muovere una piccola critica all’influenza gomorroide. Alla tendenza da parte dei giovani della media e piccola borghesia napoletana di comportarsi come ragazzi di strada. È  un effetto di gomorra che esercita fascino, fa presa sugli adolescenti, molto di più su quelli appartenenti al ceto medio, che non su quelli che vengono da realtà in cui si vive davvero la malavita. Questi ragazzi “perbene” vogliono fare i camorristielli, parlano in dialetto, spesso tramutandolo in un linguaggio improbabile, si atteggiano e si vestono in un certo modo, e a volte fanno pure qualche guaio. Si tratta di un fenomeno molto più diffuso di quanto si possa immaginare».

La donna che aiuta Chinuè nella fase in cui cerca di abortire è forse il personaggio più forte, un po’ felliniano,  ma ricorda anche qualche figura femminile di Almodovar.

«Ci siamo ispirati alla Whoopi Goldberg di Ghost, ma con uno spessore maggiore. Questa pazza convinta di saper recitare, ma pomposa e retorica, poi mette in scena il suo dolore, il suo dramma e diventa più efficace e vera. C’era una battuta nel film, che poi abbiamo tagliato, che diceva “l’unico modo per recitare è non recitare”».

Il finale fa apparire la possibilità di integrazione culturale come un processo quasi semplice, sicuramente molto naturale se le persone mettono davanti a tutto il resto valori condivisi come la famiglia…

«Così dovrebbe essere. E forse così sarebbe, se non ci fossero i media a fare da grancassa solo ad episodi criminosi e i politici a trovare il loro tornaconto nell’intolleranza».

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