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Diawara-Rog-Zielinski: il trio che fotografa la crescita del Napoli

A Sarri non viene perdonata la gavetta. Lo avevano condannato dopo la partenza di Higuain, invece sta costruendo qualcosa di importante. La società deve capirlo e tutelare lui e la squadra.

Diawara-Rog-Zielinski: il trio che fotografa la crescita del Napoli
Rog e i suoi fratelli

Adulti e adolescenti

Quando analizziamo una gara, spesso e volentieri, capita che noi addetti ai lavori tendiamo a sbizzarrirci tra lo studio dei numeri della gara stessa e l’analisi dei video delle fasi salienti del match e, soprattutto, di quelle meno salienti, al fine di notare cose che tendono a sfuggire all’occhio umano ma che celano la profondità di certi cambiamenti che avvengono lì, in quella parte del corpo umano dove si gioca il pezzo più importante di una partita di calcio: la testa. Ed essendo il gioco del calcio un fatto umano, è innegabile che sia proprio lì che – al di là di ciò che si sa fare e si riesce a costruire sul campo – le partite si vincono e si perdono, così come è la testa stessa a fare la differenza tra un bambino, un adolescente ed un adulto.

Adolescente, appunto. “È un Napoli adolescenziale” – ha ripetuto più volte Maurizio Sarri, affermando in modo esplicito una grande verità, che è poi la differenza esistente tra il Napoli e la Juventus, ma anche con la stessa Roma, rispetto alla quale, proprio alla luce del raffronto tecnico/anagrafico tra i due organici, se gli azzurri possono vantare una migliore qualità di gioco e manovra ed un organico più profondo, dalla parte dei giallorossi resta ancora una qualità tecnica individuale ed un’anagrafica che vede gli uomini di Spalletti un undici di primissimo livello internazionale, già pronto.

Il tifoso vuole vincere

Il tifoso, dalla sua, ha una caratteristica: vuole vincere. Hic et nunc. E lo fa senza valutare cosa sono stati 90 e passa anni di calcio Napoli, che ha conosciuto i vertici del calcio italiano soltanto in due fasi: la prima negli anni ’60, con un Roberto Fiore – compianto da pochi giorni – che decise di regalarsi lo stadio nuovo e regalare a Napoli Omar Sivori e core ‘ngrato Altafini, con annesso record di abbonamenti e San Paolo sempre pieno; la seconda quando c’era Lui, ma non solo.

C’era Ferlaino e le sue buste lanciate fuori tempo massimo alla guardia giurata della Lega Calcio a Milano per prendere Tieche (Biscardi verbis) ma, soprattutto c’erano Allodi prima e Moggi e poi, con un allenatore come Ottavio Bianchi che amava compattare l’ambiente in stile-Aurelio: attirando su sé stesso tutto l’odio possibile. E c’erano Careca, Giordano, Bagni, lo stesso Eraldo Pecci, Garellik, Bertoni. Elementi di spessore, che in maglia azzurra han più o meno raccolto tanto o poco, ma che avevano dalla loro qualità, esperienza e saper vincere.

A Sarri non tolleriamo la gavetta

Guardiamo ad oggi. Osserviamo bene il lavoro di Sarri cosa ha prodotto in questi due anni e cosa sta producendo: il primo anno – accolto tra scetticismo (legittimo, per carità), disapprovazione (spesso in malafede) e sfottò continui (oltre il limite della volgarità) – il tecnico azzurro ha valorizzato appieno l’unico fuoriclasse presente in organico raddoppiandone il numero dei gol rispetto alle due stagioni precedenti, conducendolo per mano al record di Gunnar Nordahl e portando la squadra azzurra ad eguagliare il record di punti (ma con più partite disputate) risalente all’anno del primo scudetto. Eppure, non è bastato a Sarri per farsi perdonare una cosa che nel mondo contemporaneo (ed in Italia in primo luogo) non tolleriamo: la gavetta.

No Higuain no party

È difficile per tutti noi ammettere che qualcuno possa farcela partendo da sotto zero senza aiutini e senza amici altolocati, guadagnandosi il Bernabeu partendo dal Tegoleto, proprio perché ci mette di fronte alle nostre scuse che usiamo per autoassolverci dei nostri insuccessi. E così, il tecnico azzurro ha dovuto ingoiare i “No Higuain no party” che i tifosi e gli analisti da pagina 202 del Televideo gli hanno dedicato per un’estate intera. E tra questi ravvisiamo anche colleghi di testate nazionali importanti, che dapprima inseriscono il Napoli tra il quarto ed il sesto posto nelle loro griglie di partenza, poi finiscono per rimproverare al toscanaccio dal mozzicone in bocca, rigorosamente spento sul primo gradino della scaletta degli spogliatoi, finanche i 7-1 al Bologna.

Una Juve modello 102 punti

Eppure, a fronte di una Juve che quest’anno ha vinto sempre in campionato tranne in quattro circostanze e che si avvia trionfalmente ad imitare l’andazzo dei 102 punti di Antonio Conte, qual è l’unico modo per sperare di vincere? Costruire. Costruire per provare a vincere domani. L’oggi, piaccia o no, dice questo. I numeri degli azzurri sono favolosi: senza Higuain (“No Higuain no party”, dicevano) e con una Champions da giocare con annesso depauperamento di energie nervose e fisiche, gli uomini di Sarri hanno un solo punto in meno rispetto alla scorsa annata da record, un Mertens da 18 reti realizzate finora (più che in media-Pipita da quando è stato spostato al centro dell’attacco) e la restituzione della batosta dell’andata ad una Roma spallettiana stellare, dai numeri eccezionali e dal percorso casalingo finora netto.

Quei tre in mediana

Ma il dato che non possiamo fare a meno di sottolineare è un altro: è quel centrocampo. Quella linea mediana con tre numeri, 95-97-94, che rappresentano il senso di questo Napoli. I numeri che fecero dire allo stesso Sarri di avere “la sensazione di star costruendo qualcosa più quest’anno che l’anno scorso…”: Rog, Diawara, Zielinski.

Tre centrocampisti diversi e perfettamente assortiti, con il croato che, pur se alle tre del pomeriggio, ha vissuto la sua prima notte di fuoco partenopea, dimostrando che, se da un lato la bramosìa del presidente di vederlo all’opera era più che comprensibile, la prudenza del tecnico era ben giustificata dal fatto che, osservandolo più di ogni altro quotidianamente a Castelvolturno, metabolizzare gli automatismi del ruolo di interno del 4-3-3 quando si è atleta dalle spiccate caratteristiche offensive, non è semplice.

Diawara pronto lo è stato quasi da subito, il tempo di rimettersi fisicamente a posto e sfoderare la sua dirompente personalità; Zielu, dal canto suo, è ormai una certezza che ha bisogno solo di abituarsi alle luci dei grandi riflettori per brillare di notte come colui con il quale ieri si è fatto scattare una fotografia. Roma-Napoli ha detto e ribadito essenzialmente questo. E scusate se è poco.

De Laurentiis deve comunicare in modo diverso

Sono questi tre elementi che dicono che, mai come quest’anno, un grande Napoli è in costruzione ed è perciò grave che De Laurentiis non abbia ancora compreso che con più di qualche uscita incongrua non solo rischierebbe di far scappare l’unico tecnico che può guidare il Napoli, almeno in questa fase, verso una crescita mentale che è lungi dall’essere completata, basti pensare al finale di ieri con qualche sofferenza di troppo. Ma che è tangibile. Gara dopo gara. Perché dare del tu a questa Roma è da squadra di carattere.

Ed è anche ora che lo stesso DeLa inizi ad attrezzarsi seriamente, impostando uno stile di comunicazione diverso. Perché la percezione esterna di ciò che di straordinario si sta facendo – in epoca di ambiguità cinesi e di “rossi” perenni in bilancio, vedi Roma – non corrisponde alla realtà? Servire la miglior pietanza del mondo in piatti non puliti – ci perdonerete la metafora – non è propriamente una buona idea. Ed è qui che servirebbe quel coraggio, quell’andare oltre la paura e la sindrome di accerchiamento che l’ambiente-Napoli non riesce a scrollarsi di dosso. Sarri e la squadra ci sono riusciti. Adesso tocca agli altri.

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