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Serie A “finita” a gennaio per metà dei club: è la peggiore d’Europa, ma per ora è inevitabile

La terzultima è a undici punti dalla quartultima, il modello non è sostenibile né spettacolare, siamo gli unici in Europa. Come cambiare le cose e perché è un’ipotesi irrealistica.

Serie A “finita” a gennaio per metà dei club: è la peggiore d’Europa, ma per ora è inevitabile

C’era una volta lo spareggio

C’era una volta la Serie A, dove la sfida per la salvezza era una corsa intensa e disperata fino all’ultimo minuto dell’ultima giornata, una lotta sportiva che spesso non si concludeva neanche al termine delle 34 giornate e 306 partite della stagione regolare, tanto che solo dal 1990 al 2003 ben cinque volte si è dovuto ricorrere allo spareggio per stabilire l’ultima retrocessa. Bei tempi quelli, durante i quali a gennaio si parlava di mercato e non si recitava già il requiem per le squadre ultime classificate, quando nessuno a metà classifica si sognava di smantellare la squadra cedendo uno o due titolari perché tanto ormai siamo salvi.

La vittoria di ieri dell’Empoli contro l’Udinese ha sancito di fatto la fine anticipata della corsa salvezza, non è una certezza matematica, ma undici punti di scarto sono più di quanti ne abbiano fatti finora Palermo e Crotone (che recupererà una partita contro la Juve), con una media di un punto ogni due partite. Questa è l’immagine di un campionato che non funziona, perché se a gennaio oltre metà delle squadre partecipanti non ha più obiettivi da raggiungere, si rischia di minare seriamente l’interesse sportivo oltre che la regolarità del torneo.

Fino al 2004

Fino al 2003/04 la Serie A era organizzata con 18 squadre e ben 4 retrocessioni dirette in Serie B, una formula che quasi mai vedeva conclusa la sfida per la salvezza prima dell’ultima giornata. Al termine di quella stagione in conseguenza del caos giudiziario del cosiddetto “Caso Catania” si optò per l’ampliamento dell’organico a 20 squadre, riducendo le retrocessioni a 3. Al termine di quella prima caotica stagione fu necessario uno spareggio tra Bologna e Parma per determinare la terza squadra retrocessa, a causa di una classifica che vedeva le squadre tra il settimo e il diciottesimo posto racchiuse in appena 6 punti. Oggi invece rileviamo uno scarto di 11 punti solo tra quart’ultima e terz’ultima posizione.

A parte quel primo campionato a 20 squadre dove sia il Brescia (19°, 41 punti) che il Parma (18°, 42 punti) chiusero sommando oltre 40 punti, nelle undici stagioni successive il punteggio più alto raggiunto da una squadra retrocessa è del Chievo (39 punti nel 2006/07). Nelle prime sette stagioni la terz’ultima totalizzava mediamente 36 punti, nelle ultime cinque la media è scesa a 34, segno di un divario che si sta allargando.

Divario in crescita

Sommando i punteggi delle ultime tre classificate si nota il passaggio dai 118 del 2004/05 ai 97 della stagione scorsa, per una media di 92 punti, ma se invece si  guarda solo alle ultime 5 stagioni la media risulta crollata a 87 punti. Di fatto, dal 2011/12 al 2015/16 le squadre retrocesse insieme hanno sommato meno punti della sola vincitrice del campionato che di media ne ha fatti 90.

L’esplosione dei diritti Tv e il conseguente abissale ampliamento del divario economico tra Serie A e Serie B ha fatto in modo che salvo rare eccezioni chi sale in A spesso non sia in grado di allestire una squadra competitiva per la categoria, a meno che non sia una squadra retrocessa dalla A nella stagione precedente e che si sia quindi giovata del famoso “paracadute”.

Noi e gli altri

Facendo una veloce ricognizione fuori dai confini italiani per vedere come vanno le cose negli altri campionati top europei, e preso come indice di paragone il margine di 11 punti dall’ultima squadra oggi virtualmente retrocessa possiamo verificare la situazione. In Premier League la terz’ultima ha 16 punti, nella spazio di 11 punti sono comprese ben sette squadre fino al Southampton undicesimo. Nella Liga la terz’ultima ha 13 punti e nello scarto considerato ci sono sei squadre fino all’Alaves dodicesimo; nella Ligue1  la terz’ultima ha 21 punti e addirittura negli 11 punti sopra di lei sono incluse le squadre fino alla quinta posizione. Infine la Bundesliga, unica a 18 squadre, ha la terz’ultima che totalizza 13 punti con ben otto squadre nello spazio di undici lunghezze. La Serie A è un caso unico dunque, nella maniera peggiore.

Immagine 1

Ipotizzando la Serie A con 18 squadre con formula tedesca (due retrocessioni dirette e uno spareggio tra terz’ultima di A e terza di B) quale sarebbe la situazione oggi? Come possiamo vedere nell’immagine seguente, il Crotone risulterebbe comunque spacciato, ma sarebbero in lotta per la salvezza ben 9 squadre con il Torino a sole sei lunghezze dalla Sampdoria terz’ultima.

Immagine 2

Addio riforma

Questa immagine spiega anche perché la riforma della Serie A non si è fatta finora e probabilmente mai si farà. Durante la sua campagna elettorale per la presidenza della FIGC nel 2014, Carlo Tavecchio aveva definito la riforma dei campionati come “la madre di tutte le riforme”, oggi tre anni dopo e di nuovo in campagna elettorale ha dovuto ammettere che “la riforma è un’utopia”.

Cosa è accaduto per fargli cambiare così radicalmente idea? Per riformare i campionati è necessario l’accordo delle tre leghe (Serie A, B e C), la più attiva nel promuovere la riforma è stata la Lega di B, che vorrebbe ridursi da 22 a 20 squadre, la Lega di C dal canto suo ha già ridotto in questi anni l’organico da 90 a 60 squadre e i fatti dicono che probabilmente dovrebbe diminuire ancora il numero di partecipanti per raggiungere una vera sostenibilità.

A chi chiedere i voti necessari?

Ogni discorso si è però arenato sulla Serie A perché pur essendo la lega con il maggior interesse a rivitalizzare il format del campionato, per approvare ogni cambiamento necessita di 14 voti. Basta guardare l’immagine della classifica ipotetica a 18 per capire che questi voti non esistono. Perché un club che oggi è salvo a gennaio dovrebbe mai votare per ridurre il numero delle squadre e aumentare i propri rischi di retrocessione?

Nonostante questo la Lega di A ha comunque fatto una proposta di compromesso assumendo che con la riduzione del numero di squadre dovessero ridursi anche le retrocessioni a una, o al massimo 1+1 via spareggio. Ricordiamo che nella vecchia A retrocedevano direttamente le ultime 4 in B, poi diminuite a 3, dunque la Serie B ha suggerito a sua volta l’adozione del modello tedesco con due retrocessioni/promozioni garantite e una da definirsi tramite spareggio.

L’esigenza di cambiare

Non ci sono stati ulteriori passaggi, la questione è stata accantonata, ma la Serie A dovrebbe comprendere l’esigenza di offrire ai tifosi, agli spettatori, agli sponsor  ed alle Tv un prodotto interessante e piacevole. Già l’asta dei diritti Tv per il prossimo triennio rischia di essere al ribasso per la situazione incerta di Mediaset Premium, davvero i club di A si illudono che Sky o qualche altro operatore deciderà di svenarsi per un campionato già quasi deciso a gennaio e che finisce con l’avere per ogni giornata da febbraio a maggio 4-5 partite che interessano nessuno?

Per la Serie A riformarsi è un esigenza, non un vezzo, riformarsi nel format del campionato e riformarsi nella governance della Lega, oggi fondamentalmente ferma e senza una management operativo che lavori 24/7 per lo sviluppo del prodotto.

La FIGC potrebbe pure tentare d’agire d’imperio, ma chi può credere che ciò avvenga durante l’anno elettorale? C’è già una questione che vedrà la Federazione contrapporsi ai club prossimamente, con la progressiva entrata in vigore delle nuove regole per l’ammissione ai campionati, quando dall’estate saranno operativi alcuni parametri e poi dal 2018 il pareggio di bilancio diventerà vincolante per potersi iscrivere. Lanciamo dunque una provocazione: e se per ridurre il numero delle squadre alla FIGC bastasse applicare fermamente le nuove regole finanziarie?

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